(Giuseppe Di Maio) – Ma per Dio lo capiamo o no che la nostra meraviglia per la sentenza di Mimmo Lucano è conseguenza di anni di propaganda antirazzista e antisovranista? Lo vogliamo capire che il modello Riace è un’invenzione della stampa piddina e che il suo eroe è un pazzo incosciente con manie di protagonismo? Se è stato assolto dal reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, la pena che a noi sembra esagerata riguarda solo la triste realtà del personaggio. E la realtà ci dice che il sindaco ha commesso il reato di associazione per delinquere finalizzata a “commettere un numero indeterminato di delitti”, falso in atto pubblico e in certificato, truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, abuso d’ufficio e peculato. E che è? Pure le carte d’identità false ha fatto. Ma ci ha pisciato sulla legge e sulle istituzioni?

Però alla stampa “de sinistra” in tutti questi anni non è passato manco per la capa di parlare dei reati che stava commettendo Lucano. Lo invitava alle conferenze, alle passerelle, agli incontri col testimonial, nei salotti con i vip. Ecco: è stato qui che è nato il modello Riace, una cosa che non esiste, e che fa il pari con i giochi a nascondino della sardina bolognese: fesserie senza consistenza come il resto delle cose che sforna il PD. Ma Lucano al PD serviva per combattere il sovranismo di Salvini, e quindi non gli interessava se il suo pupillo commetteva reati. Non gli interessava se aveva riprodotto sulle sponde della Locride il senso della legalità di una tribù africana. Lui, che dall’Africa ha preso anche la compagna, Lemlem Tesfahun. Uno così, con le aspirate grecane, che combatte il pensiero temporaneamente egemone di “prima gli italiani”, diventa un guerriero esotico, un capitano etnico, un ingrediente tradizionale, come la ‘nduia, come la sopressata.

Ma la sopressata il PD non gliel’ha sfilata dal sedere quando s’è dovuto pagare l’avvocato. Manco quei soldi aveva. A dimostrazione che è inutile dire se Domenico è o no un brav’uomo, perché la faccia un po’ da fesso ce l’ha; insomma, un’aquila non pare. Uno così, il sindaco, proprio non lo doveva fare. Solo che al PD la cosa non interessa, il PD vola alto, non s’attarda nei tecnicismi della legge. E se una come la Cartabia dice di essere riuscita a ridurre i tempi della Giustizia, il PD le crede, e diffonde per tutto l’orbe giornalistico il suo plauso alla riforma che regala agli italiani quest’impennata di civiltà.

Ma torniamo in Calabria. Se tutta la faccenda dovesse finire davanti al successore di Mattarella, beh, è chiaro: Domenico non è capace di intendere e di volere, e la grazia gliela deve fare. Ma solo dopo qualche anno di gattabuia, perché abbia il tempo di meditare che non si può irridere lo Stato in questo modo, annullando in un baleno l’unica distinzione dalla ferinità e dallo stato di natura. Nel frattempo dovrebbero meditare tutti i buonisti de noialtri che, quando si tratta degli obiettivi pericolosi di quelli veramente onesti, sono pronti a svalutarli e tacciarli d’incapaci; quando invece devono difendere gli obiettivi elettorali propri, allora sono pronti a cancellare ogni regola, ogni fioco barlume di legalità.