(Giuseppe Di Maio) – Dopo la Riforma luterana, ultimo atto di innumerevoli movimenti ereticali, finì definitivamente il Dio delle autorità religiose e temporali. Chiunque, non solo gli abitanti del nord Europa, poté disporre di un Dio personale a cui rivolgersi per sdoganare tutta la libertà delle proprie azioni. La coscienza privata del mondo poté coincidere con la volontà di Dio, e il rapporto con la divinità fu regolato appunto dalla “grazia”, cioè dalla evidente corrispondenza tra gli obiettivi propri, quelli di Dio, e del mondo. Il peso del sacro nella vita dell’uomo si attenuava. Il Medioevo era finito.

Il meeting di Comunione e Liberazione si è aperto quest’anno con il discorsetto di Mattarella, che si è avventurato in un argomento arduo attraverso una traballante esposizione. “Il coraggio di dire io”, titolo e ragione dell’incontro, è uno dei tanti stress test che la prassi politica impone alla religione cristiana, e il Presidente nel tentativo di dare il proprio contributo c’è caduto dentro mani e piedi. Il Cristianesimo, incompiuta religione del “tu”, e del “noi”, passò mille anni a sopportare una religiosità e una liturgia del “loro”, dell’autorità, durante un’espropriazione di Dio in cui poté prosperare indisturbata non solo l’eresia, ma anche l’idolatria. Si trasformò poi in religione dell’io e, mentre ognuno poté finalmente fare i cazzi propri, la denuncia maggiore delle autorità ecclesiastiche si diresse contro lo gnosticismo, cioè contro la cancellazione del valore rivelato della nostra fede.

L’ignifugo farfugliatore siculo, ha raschiato tutta la botte delle responsabilità generate dalla coscienza dell’io civile che, specie in questa indesiderata evenienza pandemica, richiama alla necessità di vaccinarsi come debito sociale e amore per il prossimo più debole. In mezzo alle iene di CL, il cui idolo, il cui vitello d’oro è lo svincolamento delle pratiche politiche dagli obblighi morali, Mattarella ha raschiato dall’io “l’egoismo che conduce al conflitto con gli altri”. Ha ammesso che “il coraggio dell’io ci rende liberi” e che “il coraggio di dire io è indispensabile per dare concretezza, realtà umana, a principi che altrimenti resterebbero inerti”. “Si tratta anche per i credenti — dice —   della chiave del rapporto con Dio”, chiamando a testimone le parole e l’alto magistero di Francesco.

Se è ormai finito il tempo del Cristianesimo e delle religioni come contributo storico alla civiltà, non è giusto che finiscano nella confusione della peggiore interpretazione. Il Presidente ha detto che “l’io responsabile e solidale, l’io che riconosce il comune destino degli esseri umani, si fa pietra angolare della convivenza, nella società civile, e nella democrazia.” E, mentre ha richiamato l’inutile art 2 della Cost., ha sottolineato: “Si vince insieme, si perde insieme”. Veramente Presidente? E allora perché tra tutti questi equilibrismi non Le è venuto in mente che la società Cristiana deve superare il tempo delle regalie che l’io amorale fa alla collettività amorfa? Perché persiste nell’elogio della dimensione dell’io, della libertà e del privato? La società laica e senza Dio non ha più bisogno di mera generosità ma di diritti, non ha bisogno di opportunità ma di garanzie, non cerca più la vacua libertà ma la giustizia.