Hanno vinto tutti, stando alle dichiarazioni del giorno dopo e alle rassegne stampa: “Scudo di Di Maio e Giorgetti dietro la resa M5S” (Sole 24 Ore), “Di Maio convince Conte” (Repubblica), “Il sorriso di Draghi, la sponda di Giorgetti” (Corriere della Sera), “Draghi convince il M5S” (La Stampa). Eppure qualcosa non torna, perché fino a […]

(pressreader.com) – di Lorenzo Giarelli – Il Fatto Quotidiano – Hanno vinto tutti, stando alle dichiarazioni del giorno dopo e alle rassegne stampa: “Scudo di Di Maio e Giorgetti dietro la resa M5S” (Sole 24 Ore), “Di Maio convince Conte” (Repubblica), “Il sorriso di Draghi, la sponda di Giorgetti” (Corriere della Sera), “Draghi convince il M5S” (La Stampa). Eppure qualcosa non torna, perché fino a due giorni fa sembrava essere solo il M5S a voler cambiare la riforma della giustizia.

Lega e fi. “La riforma non si tocca neanche di una virgola”. Così parlava Matteo Salvini il 19 luglio. La Lega non ha mai aperto a modifiche, se non per una cortesia nei confronti di FI che voleva smontare l’abuso d’ufficio e la corruzione di pubblico ufficiale. Poi la Lega si è arresa alle modifiche, “ma solo sulla mafia” e infine si è intestata le novità su reati sessuali e di droga. Ieri però Salvini festeggiava: “Sono soddisfatto. Conte fa gli show, Giulia Bongiorno ha lavorato giorno e notte per migliorare il testo”. Non a caso Giorgetti, con meno boria, lo smonta e parla di “un pareggio”.5 Stelle. L’8 luglio, i quattro ministri 5S avevano fatto infuriare gli eletti dando il via libera alla riforma in Cdm. Poi, con la definizione del ruolo di Conte e la pace con Grillo, è iniziata la mediazione. Il 17 luglio, l’ex premier giurava: “Non accetteremo soglie di impunità”. Da lì un incontro con Draghi e la minaccia, da parte di Fabiana Dadone, di “valutare le dimissioni”. Chi si è mosso come un equilibrista è stato invece Di Maio, piuttosto contorto nelle sue rivendicazioni pubbliche. Giovedì però Di Maio è stato tra i primi a esultare, celebrando una riforma senza “rischi di impunità per mafia e terrorismo”. Gli stessi che aveva avallato l’8 luglio e su cui il vero veto è arrivato da Conte.

Cartabia e Draghi. Mario Draghi, dieci giorni fa, annunciava la richiesta di fiducia sulla riforma, rendendosi disponibile solo a “emendamenti tecnici”. Pure Marta Cartabia rassicurava sulle “tutele per le donne” e garantiva che “i processi per mafia e terrorismo non andranno in fumo”. Non solo: “Il termine per i processi è assolutamente ragionevole”. L’ok alle modifiche riguardo proprio reati sessuali, mafia, terrorismo e durata dei processi smentisce però la ministra e la presunta infallibilità del suo primo testo.

Pd e iv. Basta rileggere le dichiarazioni di Enrico Letta per capire che i dem hanno sempre sostenuto la riforma Cartabia: “Convintamente sosteniamo la riforma” (10 luglio); “La riforma si faccia rapidamente e con pochi ritocchi”. I “pochi ritocchi” consistevano nel lodo Serracchiani, norma transitoria da qui al 2024. Se Conte e i suoi non si fossero intestati la trattativa, difficilmente il Pd avrebbe smosso qualcosa. Anche perché ai filo-renziani del partito stava bene così, con Matteo Renzi che ironizzava sulle pretese dei 5S: “Macché Vietnam, sono morti”. Nel dubbio, oggi Letta rivendica le novità come una vittoria dem: “L’equilibrio trovato rende la riforma migliore. Lo avevamo chiesto e ci siamo spesi fino in fondo”. Nel carosello generale, meglio non far mancare la bandierina del Pd.