”Sul filo – Il M5S insiste: “Non possiamo cedere sui processi per mafia”. L’ex premier torna a valutare il voto degli iscritti. Tensione tra gli eletti e Di Maio

(pressreader.com) di Luca De Carolis – Il Fatto Quotidiano – L’avvocato tratta e tratterà, perché un buon accordo, qualcosa da presentare come un risultato politico degno di un capo, è ancora possibile. Ma possibile non è sinonimo di vicino, per Giuseppe Conte. Soprattutto perché dall’altra parte c’è il presidente del Consiglio che di solito ottiene ciò che vuole, Mario Draghi. Così in un sabato di afa e cattivi pensieri dal M5S accusano: “Da palazzo Chigi fanno muro alle nostre richieste”. Prima tra tutte l’esclusione di diversi reati, cominciando da quelli di mafia, dal campo di applicazione della controriforma Cartabia. Ma c’è distanza anche sul calcolo dei tempi per i processi di appello. Va male, insomma.

E allora in caso di mancata intesa Conte potrebbe davvero decidere per lo strappo, per il mare aperto, cioè per l’uscita dal governo Draghi. “Se non accettano modifiche vere, preservando innanzitutto i processi per mafia, per noi sarà impossibile votare la fiducia” dicono alcuni contiani doc, riassumendo la linea. L’opzione che l’ex premier non cerca ma che non considera eresia, per nulla. Tanto che non si è irritato, anzi, con la ministra Fabiana Dadone, che venerdì mattina ad Agorà aveva ventilato come possibile le dimissioni dei ministri in caso di mancato accordo sulla controriforma Cartabia. “È un’ipotesi che dovremo sicuramente valutare assieme a Conte”.

Ore dopo, di fronte al montare delle reazioni, la ministra aveva abiurato (“Non è nel mio stile minacciare, Draghi e Conte troveranno un punto d’incontro”). Ma l’ex premier, racconta chi gli ha parlato, ha apprezzato la franchezza della ministra, capace di mettere in gioco anche la sua poltrona in una battaglia identitaria per il M5S. Chi non ha affatto gradito, assicurano in diversi, è Luigi Di Maio. L’uomo della mediazione con Beppe Grillo, il ministro degli Esteri che non vuole neanche pensare alla rottura con Draghi. E lo ha ripetuto più volte in questi giorni, come un mantra: “Il governo deve arrivare al 2023”.Molto di più il ministro lo ha detto venerdì sera dal palco della festa di Articolo Uno, a Bologna: “Io non credo che sia irragionevole discutere della riforma della giustizia e dire che va migliorata. È irragionevole se vogliamo fare una battaglia ideologica per cui le riforme di tutti gli altri non sono buone perché le presentano gli altri e l’unica buona è la nostra. Questo è un salto che stiamo facendo in questa fase storica”. Traduzione, non possiamo impiccarci alla riforma Bonafede nel nome della purezza a 5Stelle. Sillabe pragmatiche: troppo, per le orecchie di diversi della vecchia guardia del M5S. “Non possiamo morire come Movimento perché lui vuole restare ministro”, sibilavano ieri alcuni veterani. Ed è lo scontro tra il corpaccione parlamentare e l’ala governista, una distanza che si sta facendo ferita. Ma Conte pare comunque pronto ad andare dritto. “Qui il punto non è neanche il M5S, non possiamo recedere di fronte al rischio di favorire l’impunità dei mafiosi” ripetono ambienti vicini all’ex premier. E il tesoriere dei 5Stelle alla Camera, Francesco Silvestri, ribadisce: “Abbiamo ascoltato e letto gli allarmi di magistrati come Gratteri e De Raho e dell’Anm e i dubbi del Csm: non possiamo fare finta di niente, il M5S sta facendo proposte serie e responsabili per evitare spazi di impunità”.

A breve, forse domani, Conte ripeterà la sua posizione, in modo forte. E in settimana avrà altre riunioni con i parlamentari sulla strategia in Parlamento. Ma cresce l’ipotesi di consultare gli iscritti on line sul votare o meno la fiducia al governo. Anche perché a convocare la votazione sarebbe l’ancora reggente Vito Crimi. E sarebbe la via per superare un nodo non solo burocratico, ossia il fatto che Conte non è ancora formalmente il capo, visto che il nuovo Statuto verrà votato il 2 e il 3 agosto. E chissà cosa accadrà prima.