Non fa piacere dovere concludere che, nel brusco licenziamento di Conte da parte di Grillo, abbia contato più la psicologia che non la politica né tantomeno la logica. Troppe e troppo evidenti le contraddizioni. Mi limito a dieci, per fare cifra tonda, ma potrei andare oltre.

(pressreader.com) – di Franco Monaco – Il Fatto Quotidiano – Non fa piacere dovere concludere che, nel brusco licenziamento di Conte da parte di Grillo, abbia contato più la psicologia che non la politica né tantomeno la logica. Troppe e troppo evidenti le contraddizioni. Mi limito a dieci, per fare cifra tonda, ma potrei andare oltre.

  1. Da ultimo, nel ripudio, l’addebito mosso a Conte è quello di avere proposto un “partito unipersonale”. Nel mentre l’Elevato, con un atto d’imperio, decideva la sorte del M5S, l’opposto dell’uno vale uno. Come usa dire, il bue che dà del cornuto all’asino.
  2. Il M5S deve il suo straordinario exploit politico-elettorale alla polemica, spesso urticante, contro la casta, contro un ceto politico imbullonato al potere, e ora il suo carismatico fondatore ne decreta il tracollo per una neppure celata ambizione di preservare i pieni poteri personali.
  3. Fu lui a chiedere a Conte di assumere la guida del Movimento nel recente, lacerante passaggio della (sua) decisione di sostenere il governo Draghi, mettendo fine, d’autorità, agli estenuanti e inconcludenti “stati generali” che si stavano per concludere con l’elezione di un Comitato direttivo.
  4. Ora, egli ripudia Conte e pretende di ripartire di lì, come non bastasse richiamando in servizio la opaca piattaforma Rousseau e il giovane Casaleggio dal quale aveva divorziato solo un paio di mesi fa, con tanto di contenzioso legale e finanziario.
  5. Non è facile comprendere come si concilia il suo diktat al M5S perché esso sostenesse il governo Draghi con la svolta rappresentata dalla sua “retropia” ai moduli antagonisti dello stato nascente del Movimento. Al punto di guadagnasi il plauso e la disponibilità a rientrare degli espulsi perché contrari al governo Draghi.
  6. Fu sempre Grillo, dopo il Papeete, a imporre ai tanti recalcitranti l’alleanza con l’odiato Pd e far digerire loro la premiership di Conte al governo giallorosso. Una collaborazione con il Pd che, nel tempo, si è consolidata, che prometteva un ulteriore sviluppo grazie al positivo rapporto personale e politico tra Letta e Conte e cui certo non giova il licenziamento dell’ex premier.
  7. Nel mentre bombardava Conte, Grillo si profondeva in un enfatico elogio di Di Maio, cioè di uno degli esponenti pentastellati che di più e meglio ha interpretato la maturazione del Movimento quale forza di governo al fianco di Conte. Una figura, quella di Di Maio, di sicuro poco incline a una regressione alla stagione del Movimento allo stato nascente.
  8. Stiamo a vedere che ne sarà del limite dei due mandati, un nodo sensibile per gli eletti, ma anche per militanti ed elettori, sul quale Grillo sembrava irremovibile. Non escludo che, nei giorni a venire, si possa assistere a un ammorbidimento suggerito dal proposito di fare l’occhiolino ai parlamentari con due legislature che hanno dissentito dalla rottura con Conte.
  9. Grillo dovrebbe riflettere sulla esplosione di gioia della legione di quanti detestano il M5S: dalla destra a Italia Viva, ai media dell’establishment (con commentatori improvvisatisi tifosi di Grillo). Più o meno il vasto fronte di esecutori e mandanti del “conticidio”.
  10. Sino all’ultima, clamorosa contraddizione: Grillo imputa a Conte il tradimento della democrazia diretta che rimette agli iscritti la decisione ultima, nel mentre lui da sé solo, da sovrano assoluto, rigetta pregiudizialmente e anzi mette sotto segreto la bozza di statuto stilata da Conte dietro sua richiesta, impedendo che su di essa si esprimano gli iscritti. Chi mai, dotato di dignità e raziocino, può prestarsi ad avallare un tale cumulo di contraddizioni?
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