ll conduttore Sigfrido Ranucci posa per i fotografi durante la trasmissione di Rai3 ‘Report’, Roma, 17 ottobre 2020. ANSA/ANGELO CARCONI

(Michela Tamburrino – La Stampa) – Sigfrido Ranucci non riesce neppure a godersi il successo del suo “Report” formato replica che porta ottimi ascolti. Perché arrivano, altri guai. «La sentenza del Tar ha aperto una voragine inarginabile. E costerà tempo, fatica e tanti soldi».

Tutto ha avuto inizio qualche giorno fa quando una sentenza del Tribunale Amministrativo ha imposto alla Rai di rendere pubblici gli atti dell’inchiesta giornalistica “Vassalli, valvassori e valvassini”, condotta da Report per indagare sugli appalti pubblici in Lombardia.

Tutto partiva da una serie di consulenze riconducibili all’avvocato Andrea Mascetti che sentendosi offeso dal servizio si era rivolto al Tribunale amministrativo per accedere agli atti che lo coinvolgevano. La sentenza dava ragione all’avvocato solo per quanto concerneva gli atti relativi alla pubblica amministrazione, riconducendo di fatto la Rai in un ambito di ente pubblico e non più considerata azienda di contenuti giornalistici.

Una sentenza inaspettata che ha generato uno tsunami. È di queste ultime ore la notizia che anche il viceministro degli Affari esteri della Repubblica d’Albania, Agron (Genti) Tare, ha chiesto alla Rai e alla redazione di Report l’informativa della Guardia di Finanza di Bari che lo riguarda. E nel farlo, il legale del viceministro Tare fa riferimento, in particolare, alla «recentissima sentenza del Tar, emessa proprio nell’ambito di un procedimento amministrativo in cui era parte la Rai in relazione al programma Report».

Ranucci, oramai gli argini sembrano essersi rotti.

«Temo si sia perso il cuore del problema che questa sentenza ha generato. Ho letto l’articolo di Zagrebelsky uscito questa mattina sul vostro giornale. Lui è andato alla conseguenza della sentenza. Ma sono le motivazioni della sentenza stessa con cui si spingono a rendere ostensibili gli atti che sono inaccettabili».

Perché gli atti, sono fonti, giusto?

«Certo. Se io ricevo una mail da un funzionario di un ente locale, questa mail ha un nome e un cognome. Chiedercene conto equivale a intimidazione».

E adesso che farete?

«Dopo la richiesta del viceministro albanese faremo ricorso un’altra volta. Una follia. E questo significa spese legali enormi. Io credo sia giusto riportare al centro il fatto che né la Rai, né Report producono atti amministrativi. Noi produciamo giornalismo che dovrebbe essere protetto. Invece oggi ci sono i presupposti per equiparare un giornalista Rai a un funzionario pubblico».

Che effetto le fa?

«L’effetto slavina. Che ha già provocato danni. Chiunque si potrà accodare e avanzare richieste. Causando perdita di tempo, denaro. Poi qualcuno in Vigilanza si alzerà per chiedere quanto costa in spese legali Report».

Che cosa si potrebbe fare per arginare il problema all’origine?

«Giace in Parlamento la legge sulle liti temerarie. Ferma da due anni. Primo De Nicola, autore e primo firmatario della legge, parla di emergenza democratica. Questa storia è arrivata in Europa. Ricardo Gutierrez, il presidente del sindacato europeo dei giornalisti ci ha difeso. Poi arriva qualcuno di Italia Viva che ci attacca.»

Si riferisce a Renzi?

«Lui ci aveva chiesto la fonte del filmato che lo ritraeva in autogrill con l’uomo dei servizi segreti Mancini. E ci disse anche che non finiva lì. Un’intimidazione andata a segno. Infatti non è finita lì».

Come reagirete?

«Cercheremo di resistere alla morte su questa storia a tutela della nostra libertà. Non arretreremo di un centimetro. Altrimenti il giornalismo d’inchiesta Rai è finito. Chi darà più qualcosa di delicato a un giornalista equiparato a un impiegato del catasto? Nessuno. Poi, dico, se io con le mie inchieste produco atti amministrativi, anche i contratti milionari di tanti colleghi sono atti amministrativi. Tutto pubblico allora. Io sto a posto con me stesso. Come si dice, fai quello che devi e accada ciò che può».