(di Luca De Carolis – Il Fatto Quotidiano) – Le nomine sono state l’ultimo schiaffone. L’ultima conferma che il Movimento nella maggioranza di quasi tutti fa il portatore di voti, e pochissimo altro. “Mario Draghi si è mosso come al solito, ha deciso lui e poi ci ha fatto sapere” ruminano dal M5S, dove la rimozione di Fabrizio Palermo dal vertice di Cdp è stata vissuta come un’umiliazione. Così adesso i big, come i soldati semplici, molti dei 5Stelle di governo, come quelli che nell’esecutivo non ci sono più, si pongono la stessa domanda: “Ma in questo governo cosa ci stiamo a fare?”. Cosa ci restano a fare, i grillini, che non toccano palla e devono affannarsi per difendere almeno qualche bandiera, a partire dalla riforma della prescrizione?

Certo, i 5Stelle sono inconsistenti anche e forse innanzitutto per colpe proprie, visto che il capo prossimo venturo Giuseppe Conte è bloccato da mesi dalla guerra sui dati con Rousseau e il reggente Vito Crimi è reduce da infinite proroghe nella carica, che ne hanno stinto peso e rappresentatività. E figurarsi il fondatore e Garante Beppe Grillo, auto-affondatosi con il video sul figlio indagato per stupro. “Almeno Enrico Letta può andare a parlare da Draghi, ma per conto del M5S chi sarebbe legittimato a farlo?” dicono nel Movimento che non sa dove andare e soprattutto perché. Alla Camera i capannelli tra parlamentari sembrano ormai sedute di auto-coscienza. Mentre in Senato la battaglia sui vitalizi ha almeno raggrumato un po’ il gruppo, con Paola Taverna a fare da mastice. “Ma non è un caso che abbiano attaccato ora su quel tema – sibilano i grillini – Ci hanno visto deboli, e provano a schiantarci”. È stato difficile, raccontano, anche convincere il Pd a firmare la mozione sul tema. Ma è tutto complicato. Anche reggere certe posizioni del ministro alla Transizione ecologica Stefano Cingolani, per cui Grillo si era battuto durante le consultazioni e che nei suoi post il M5S aveva indicato come il 5° ministro grillino. Ieri però Cingolani ha ribadito la sua autonomia, con una frase che è l’antitesi della linea del Movimento sull’ambiente: “L’Italia deve fare una riflessione sugli inceneritori”. Notte fonda, insomma. E il Draghi che manda i testi di legge ai ministri all’ultimo minuto utile non aiuta. Anche se il premier deve aver fiutato che nel M5S il malessere trabocca. Non è un caso che la ministra della Giustizia Marta Cartabia abbia ricevuto la delegazione grillina, la prima rappresentanza di un partito vista separatamente. Perché ai piani alti sanno che sulla Giustizia il Movimento potrebbe veramente sollevarsi. Anche per questo Cartabia ha avuto un lungo e piuttosto franco colloquio innanzitutto con l’ex Guardasigilli Alfonso Bonafede, con cui pare abbia ottimi rapporti.

Perché è stato lui a spiegare con toni pacati e concetti chiari che sulla prescrizione il M5S potrebbe al massimo tollerare il cosiddetto Orlando: ossia il decorrere dei termini solo per gli assolti in primo o secondo grado, mentre lo stop alla prescrizione rimarrebbe per i condannati. Di più, il Movimento, non può proprio concedere. Anche perché sul tavolo ci sono altre misure pesanti da deglutire, come il divieto di proporre appello per le procure. E allora si spiega perché i grillini puntino a far scivolare più avanti possibile il nuovo processo penale. “Le priorità sono la riforma del processo civile e del Csm”, ripetono da giorni Luigi Di Maio e gli altri maggiorenti. E proprio Di Maio, raccontano, è “preoccupato” dalla situazione interna al Movimento. “Sappiate che dopo il governo Draghi c’è solo il voto” ha ricordato in alcuni colloqui. Sottotesto: in queste condizioni il M5S sarebbe pronto?