Italian Prime Minister Mario Draghi during the Question Time session at the Italian Chamber of Deputies, Rome, Italy, 12 May 2021. ANSA/RICCARDO ANTIMIANI

(di Wanda Marra – Il Fatto Quotidiano) – Emmanuel Macron e Angela Merkel hanno detto la loro sulla nuova escalation in Israele già venerdì. Ieri il presidente francese ha incontrato il presidente egiziano Al Sisi: entrambi si sono espressi per la fine delle ostilità. Mentre la Cancelliera ha sentito al telefono il premier israeliano, Netanyahu, assicurandogli “il completo sostegno alla protezione di Israele”. Mario Draghi sul tema non ha proferito una sola sillaba pubblica. Neanche dopo la sollecitazione diretta di Enrico Letta e quella indiretta di Giuseppe Conte. L’Europa procede divisa, mentre Joe Biden lascia trapelare qualche ambiguità: la posizione americana è sempre stata filo israeliana, in questo momento alcuni pesi massimi dei Democratici (come la Ocasio-Cortez e Sanders) lo stanno spingendo a differenziarsi da Trump. Con il suo silenzio, il premier si schiaccia sulla posizione – indefinita – degli States. Non si esprime neanche per smarcarsi dalla nettezza della posizione tedesca, che non può essere condivisa dall’Italia. È lo stile della casa, ma sottolinea qualche difficoltà: se gli Usa sono ambigui, diventa ambigua pure l’Italia.

Draghi senza una posizione forte, va per sottrazione. Una scelta che però – spesso – può coincidere con l’elusione. Si moltiplicano i dossier sui quali il capo del governo preferisce tacere. Derubricato a poco più di rumore di fondo l’affaire Durigon (ovvero il leghista che si è fatto intercettare mentre sosteneva che il generale della Finanza che indaga sui fondi del Carroccio “ce l’abbiamo messo noi”), Draghi sa pure che – come salviniano di ferro – il sottosegretario all’Economia è intoccabile. Meglio non entrare nella questione, tanto più che il M5S ha presentato la richiesta di togliergli le deleghe. Nessun commento sulla sostituzione di Gennaro Vecchione (uomo di Conte) con Elisabetta Belloni al Dis. I Servizi sono segreti per definizione, ma vista la guerra tra bande che si sta consumando ai vertici della nostra intelligence, la questione avrebbe forse meritato qualche spiegazione.

L’annuncio del ministro della Giustizia, Marta Cartabia, di voler tornare alla prescrizione e di abolire la possibilità di richiedere l’appello per i pm ha provocato già un’alzata di scudi dei 5S. Dicono a Palazzo Chigi che come la vede il premier c’è scritto nero su bianco nel Pnnr: bisogna ridurre del 40% i tempi del processo civile e del 25% quelli del penale. Dunque, i partiti erano avvisati. E però, mentre Letta e Salvini si azzuffano tutti i giorni, il premier si guarda bene dall’intervenire. Temi troppo divisivi. Anche perché il pericolo che non si riesca poi a trovare un bandolo della matassa a Palazzo Chigi lo vedono forte e chiaro: i partiti sono percepiti troppo deboli per sostenere un momento di cambiamento strutturale come questo. C’è un di più di distacco esibito: Draghi preferisce snobbarla una certa politica, piuttosto che sferzarla. La cosa produce qualche effetto collaterale. Esistono due principali scenari per il suo futuro: l’elezione al Colle nel 2022 o la fine della legislatura, magari con il treno del Quirinale passato per sempre. Raccontano che il premier in realtà punti a un ruolo europeo. Ma forse più che una scelta, è un ripiego, visto che la politica mostra segni di insofferenza nei suoi confronti. Sulla sua salita al Quirinale c’è già una guerra, con Salvini che la caldeggia, per poter chiudere questa legislatura e Letta che la osteggia, mentre gli chiede un progetto complessivo. Anche su questo, lui resta una sfinge. E se è vero che non è mai accaduto che un “quirinabile” ammettesse di esserlo, il fatto che non lo escluda rende poco chiare le regole d’ingaggio del suo incarico e la durata del suo governo.