I timori del Colle. Il resto è in alto mare, ma s’è deciso come fare le assunzioni: apprendisti, contratti di formazione e a termine, stage e tanti dirigenti esterni…

(di Marco Palombi – Il Fatto Quotidiano) – Nonostante l’allarme del Quirinale sia arrivato in tutte le redazioni, i ritardi nella definizione di aspetti fondamentali del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) non sembrano, a differenza dei mesi scorsi, interessare più i media. La sveglia del Colle, però, è suonata a Palazzo Chigi che ieri ha fatto circolare l’intenzione di portare in Consiglio dei ministri uno o due decreti (governance e semplificazioni) entro giovedì prossimo: un vero tour de force – tanto più che martedì o mercoledì è prevista anche l’approvazione (in ritardo) del decreto Sostegni bis da 40 miliardi – che finirà per ridurre (di nuovo) il Parlamento al ruolo di passacarte, situazione che potrebbe peggiorare quando – tra giugno e luglio – arriveranno i ddl delega sulla giustizia, la concorrenza e, forse, il fisco.

In realtà, l’annuncio del governo al momento è più un’intenzione che un cronoprogramma, visto che di testi veri e propri non ce ne sono: eppure si tratta di decreti che, per regolamento, la Commissione Ue dovrà valutare e approvare come fossero parte integrante del Pnrr. Ci torneremo, ma ora va chiarita l’unica certezza riguardo al Piano di ripresa: sarà all’insegna del lavoro (pubblico) precario. Mercoledì – spiegano fonti di governo – è stata definita la delega al ministero della Funzione pubblica per le migliaia di assunzioni connesse all’attuazione del Pnrr: siccome tra mali endemici e protocolli anti-Covid si ritiene di non poter fare i concorsi in tempo, si apre la porta a tutte le forme di “flessibilità” possibili.

In cima alla lista ci sono i dirigenti esterni, che potranno essere presi a chiamata diretta dalle singole amministrazioni per tre anni più altri tre in deroga a qualunque norma. Poi c’è la truppa e qui la delega predisposta è una sorta di catalogo del precariato: via libera ai moduli per l’apprendistato, ai contratti di formazione, ai temporanei e pure agli stage se dovesse servire. Nel frattempo, è l’idea, si fanno i concorsi ordinari. Per fare più in fretta, proprio due giorni fa, Renato Brunetta – che aveva annunciato un suo “decretone” entro aprile – ha provato a inserire questa delega come emendamento al primo dl Sostegni, appena arrivato alla Camera dopo il via libera del Senato: respinto con perdite dalla sua stessa maggioranza, sarà inserita nei decreti per il Pnrr.

La fretta, d’altra parte, è scusata: è la natura stessa del Next Generation Eu a imporla, ma molti Paesi, Francia in testa, hanno da tempo scelto il loro sistema progettuale e iniziato a prepararsi come se il Piano fosse già approvato: sempre per regolamento, infatti, dev’essere chiaro fin da subito per ogni singolo programma di spesa chi firma e con quali guarentigie, quale modello di progettazione ed esecuzione, con quali tecnici e quanto personale, quali norme (codice degli appalti, codice ambientale, etc.) vanno modificate per spendere i soldi in tempo.

Tutto questo in Italia non è stato ancora deciso nonostante le pressioni di Bruxelles: d’altra parte non è facile, la nostra macchina pubblica non è abituata e non è pronta a lavorare così. Ma i ritardi che agitano Mattarella non sono dovuti solo alle difficoltà tecniche. La variegata maggioranza del governo Draghi litiga anche al suo interno. Ad esempio, stabilito che il comitato tecnico è al Tesoro, chi partecipa alla cabina di regia a Palazzo Chigi? Il premier la vorrebbe snella e solo coi ministri di peso (quelli a cui risponde al telefono), solo che rimarrebbero fuori M5S e Pd…E ancora: come scriviamo da settimane, è in corso una sorta di duello muto tra Brunetta e il ministro della Transizione ecologica Stefano Cingolani sulle semplificazioni. Quest’ultimo ha predisposto un suo decreto (l’unico vero testo esistente) per tutte quelle di sua competenza, ma Brunetta pretende che ne indichi tre o quattro al massimo da inserire nel “suo” decretone e per il resto si vedrà. Non solo: le semplificazioni di Cingolani tendono, tra le altre cose, a togliere potere alle Soprintendenze nei processi autorizzativi e la cosa non piace al ministero di Dario Franceschini (e poco anche allo Sviluppo economico di Giancarlo Giorgetti). Infine, ma solo per questioni di spazio, la larga deregulation ambientale di Cingolani (dal superbonus al 110% in giù) non è esattamente nelle corde dei grillini. E questo senza che giustizia, liberalizzazioni e fisco – temi su cui potrebbe persino cambiare il perimetro della maggioranza – siano ancora sul tavolo.