(di Wanda Marra – Il Fatto Quotidiano) – Stamattina Enrico Letta dirà sì alla guida del Pd. È tornato nella sua casa di Testaccio a Roma, ieri. Riunioni via Zoom e dialoghi via telefono con i capi corrente e con i vari big del Pd. L’unico che manca all’appello è Lorenzo Guerini. Oggi Base Riformista farà un’Assemblea per decidere la linea: divisa e confusa al suo interno, difficilmente arriverà a dire no. Forse qualche singolo lo farà, probabilmente una parte si asterrà. La trattativa è su una vice segreteria che possa garantirli sulle liste elettorali per le prossime Politiche. Il futuro segretario – a seconda di quale maggioranza avrà – potrebbe accontentarli. Letta si troverà da subito ad affrontare più di un nodo. L’“identità” del partito, le Amministrative, soprattutto il rapporto con il governo Draghi. E sullo sfondo la partita con il Colle.

L’idea dell’ex premier è quella di un centrosinistra largo, da Conte e Leu fino a Calenda (o addirittura Renzi, sulla carta, ovviamente). Nelle grandi città il tentativo sarà di presentare un candidato unico. Da assegnare ci sono Bologna e Napoli. Giuseppe Sala a Milano si è già candidato e Virginia Raggi e Carlo Calenda a Roma pure. Difficile che il Pd di Letta sostenga il primo cittadino uscente della Capitale. Anche perché c’è una questione tutta interna. Nicola Zingaretti sta manifestando un sostegno entusiasta all’ex premier: l’idea di candidarsi a Roma cresce di giorno in giorno. Nonostante il fatto che Roberto Gualtieri sia già in campo.

È di certo presto per parlare di corsa al Colle, ma non sarà secondaria nell’appoggio che i vari big daranno al segretario. Non è un caso che tra i grandi sponsor di Letta ci siano Paolo Gentiloni e Dario Franceschini: due che nel Quirinale ci sperano e che sono ben felici di aver eliminato uno dei possibili contendenti.

Ma poi c’è il governo. Quello di Letta sarà un sostegno convinto, pur se dialettico. Per molti versi l’agenda di Letta è la stessa di quella del premier. A partire da una questione cruciale a livello europeo. La distinzione tra debito buono e debito cattivo, ovvero tra debito utilizzato a fini produttivi (dagli investimenti nel capitale umano, alle infrastrutture cruciali per la produzione, alla ricerca) o viceversa improduttivi. Letta – che con Draghi ha un rapporto consolidato – però dovrà trovare il modo di portare avanti le ragioni di un partito di centrosinistra (e di una coalizione con dentro Leu) e dunque cercherà di mettere nell’agenda dell’esecutivo il tema delle diseguaglianze sociali. Da vedere come si porrà rispetto ai dossier della lotta al Covid e dei vaccini. Mentre sul Recovery Fund è in linea con l’impianto della Commissione. Con un particolare interesse ai temi della sostenibilità ambientale, che è anche giustizia sociale, che deve essere un modello di sviluppo integrale e trasversale, applicato a ogni linea di policy. Da capire, poi, se andrà in rotta di collisione con la Lega di Matteo Salvini sui temi della migrazione: per superare il Trattato di Dublino a favore di una corretta ridistribuzione dei migranti, ha ipotizzato pure l’uscita momentanea dell’Italia dallo stesso trattato. Una posizione radicale. Ma se i migranti possono funzionare come tema identitario ed etico, non possono certo essere centrali in una fase di estrema difficoltà per la popolazione italiana: c’è da capire soprattutto quanto Letta vorrà e potrà spostare il baricentro dell’esecutivo su istanze più di sinistra. E quanto sarà deciso nella gestione del partito. Ai tempi di Palazzo Chigi gli giocò contro anche una sorta di caparbia volontà di non sfidare Renzi, con i suoi stessi metodi, di non sporcarsi le mani. Lo stesso atteggiamento che potrebbe essere perdente anche questa volta.