(di Gia. Sal. – Il Fatto Quotidiano) – Mercoledì 9 dicembre, Senato. Matteo Renzi ha appena finito di parlare durante la discussione sul Mes: ha attaccato il premier Giuseppe Conte minacciando per la prima volta la crisi di governo (“Le nostre poltrone sono a disposizione”) e riscuotendo gli applausi di tutto il centrodestra. Sembra un leader dell’opposizione. Il senatore di Scandicci si sente chiamare alle spalle. È il leader della Lega Matteo Salvini che si è alzato dal suo banco per andarsi a complimentare: “Matteo, bravo! Hai ragione su tutto”. La risposta di Renzi è tutto un programma: “Hai visto? Gli ho fatto il mazzo”. Segue iconico gesto. Da quel momento i due “Matteo” non si lasceranno più.

Si parlano – direttamente o tramite emissari (Giancarlo Giorgetti) – si scrivono sms goliardici, si sfottono sul calcio (uno tifa Milan, l’altro Fiorentina), si dicono di tutto in pubblico (“A Renzi non crede più nessuno”, “Salvini voleva i pieni poteri, io glieli ho tolti”) ma poi in privato tramano. Su due rette apparentemente parallele che, per un mix di vendetta personale e brama di potere, alla fine si incrociano in un punto: far fuori il presidente del Consiglio Conte.E allora, dopo il durissimo discorso di Renzi in Senato, succede che Matteo Salvini l’11 dicembre non chieda il voto. Il leghista propone un “governo ponte” per “accompagnare il Paese alle elezioni con un governo serio”. Insomma, le larghe intese: il sogno di Renzi. Ma Giorgia Meloni lo stoppa: “Per noi c’è solo il voto”. Così Salvini si corregge: “Un governo di centrodestra con chi ci sta”. Ma la coalizione non avrebbe i numeri per un ribaltone, soprattutto alla Camera dove mancano una cinquantina di parlamentari: fondamentali diventano i 30 deputati di Italia Viva. Un’ipotesi ancora una volta stoppata da Meloni che ha capito la trappola (“Questo vuole andare con Renzi”): “Siamo indisponibili a governi con Pd, M5S e Renzi” ripete pubblicamente la leader di FdI. Nel frattempo il senatore di Iv continua il suo bombardamento quotidiano contro Conte. Lo attacca su tutto, ogni giorno aggiungendo una nuova fiche: il Recovery, i vaccini, il Mes, i servizi segreti. I penultimatum si moltiplicano ma il dado è tratto: Renzi a cavallo dell’anno nuovo ritirerà le ministre Bellanova e Bonetti.

Alla vigilia di Natale i due “Matteo” vanno a trovare l’amico comune Denis Verdini a Rebibbia, dove sta scontando la condanna a 6 anni e mezzo per il crac del Credito cooperativo fiorentino. D’altronde era stato proprio il suocero del leader leghista nel novembre 2019 ad ospitarli entrambi nella sua casa a Pian de’ Giullari (Firenze) per sigillare il “Patto del Chianti”: Renzi avrebbe fatto cadere Conte e in cambio Salvini avrebbe candidato una figura “debole” in Toscana. Non è andata così, o forse sì. Renzi e Salvini a Rebibbia non vanno insieme: il 23 dicembre il primo, il 24 il leghista. Si informano sulla salute di Denis ma parlano anche di politica. E il consiglio che l’ex sherpa di B. dà a entrambi è questo: “Ci vuole un governo di unità nazionale”.

I due “Matteo” si tornano a parlare a inizio anno, quando Renzi sta per lasciare il governo. Entrambi vogliono le larghe intese: il sogno del leader di Iv è quello di coinvolgere Salvini per istituzionalizzare la “svolta moderata” della Lega teorizzata da Giorgetti, mentre il segretario del Carroccio gli chiede di “andare fino in fondo”, avviando consultazioni nella Lega per i possibili premier e ministri. I nomi che escono piacciono molto a Renzi: Marta Cartabia, Giulio Sapelli e il solito Mario Draghi. Fantapolitica, a cui i due “Matteo” però credono davvero. Poi i fatti di Capitol Hill – da cui Salvini prende timidamente le distanze – bloccano tutto.

Si arriva a martedì sera. Il teatro è ancora il Senato, ma nel frattempo Renzi ha lasciato il governo e si sta votando la fiducia. Alle otto di sera, prima della “chiama”, il leader di Iv prova il blitz. Salvini gli telefona: “Matteo, se i tuoi votano no, Conte va a casa”. Renzi ci pensa, è combattuto. Ma ha un problema: alcuni dei suoi lo seguono, una decina di senatori no. Se il capo desse l’ordine, questi lo mollerebbero all’istante. Renzi lo sa e, nonostante le pressioni di Salvini, rinuncia: astensione. Ma i due mercoledì mattina si sentono per telefono e siglano un patto: “La maggioranza non ha più i numeri nelle commissioni – dice Renzi – d’ora in poi votiamo insieme e blocchiamo ogni provvedimento. Conte dovrà lasciare”. Salvini concorda. L’opposizione dei due “Matteo”.