La vigilia – Domani la prova alla Camera senza rischi, al Senato verso la maggioranza semplice (il resto si cercherà dopo).

(di Luca De Carolis – Il Fatto Quotidiano) – I conti non tornano, perlomeno se si punta a quota 161 voti: e non è neppure strano, se te la devi vedere con maturi democristiani e con parlamentari che nel Gruppo misto nuotano come pesci nel mare. Così Giuseppe Conte insiste. Passa il sabato al telefono per chiedere e consultare, e fa di conto in vista del voto di fiducia di martedì in Senato, la vera prova dei numeri. Sa che a Palazzo Madama la maggioranza assoluta non la prenderà, e che il conto è fermo attorno ai 154 sì. Casomai si può fare alla Camera, domani. “Ma a oggi non siamo sicuri neanche di quella, ci manca qualche voto per arrivare a 316 sì”, dicono voci dal Movimento. Nervosi e già quasi esausti, i Cinque Stelle sospettano: nel dettaglio del Pd, “perché i dem avevano promesso di riprendersi un po’ di renziani e invece si sono fermati, perché vogliono fregare Conte”. Cioè riaverlo salvo, ma non rafforzato dalla conta.

Così è anche se non vi pare, dentro i giallorosa che cercano di sopravvivere e a cui Matteo Renzi ha complicato i piani, annunciando l’astensione di Italia Viva nelle votazioni di domani e martedì alle Camere. Lo ha fatto per compattare i suoi, certo, ma anche “per tenersi le mani libere e vedere che succede” riassume un big del M5S. Così in ansia da dirlo: “Qui finisce che Iv rientrerà in gioco a breve”. Previsione azzardata, almeno per ora. Ma che fa rima con le parole a Tgcom24 di un professionista come Clemente Mastella: “Più che i Responsabili, all’orizzonte vedo un Conte ter con dentro Iv”.Nell’attesa sono certe le preoccupazioni del Movimento, dove ieri il reggente Vito Crimi e il capo delegazione Alfonso Bonafede hanno riunito i direttivi delle Camere pe ribadire l’addio a Renzi e il sostegno al premier. Ma il punto resta quello, i grillini sono convinti che i dem stiano tirando indietro la gamba per tenere Conte sotto quei 161 voti che vorrebbero dire maggioranza assoluta e quindi un segnale di solidità politica. Meglio una maggioranza semplice e magari un po’ risicata, per convincere poi il premier a fare ciò che ha sempre rifiutato: ovvero a dimettersi per costruire un Conte ter con una squadra di governo molto diversa. Ciò che si augura l’ex 5Stelle Saverio De Bonis, ora utilissimo membro del Maie: “Se Conte prende la fiducia ci sarà una crisi lampo e il presidente dovrà riformulare la squadra di governo”. Cioè ricompensare chi va ricompensato. E comunque se la strada si è fatta di nuovo in salita lo si deve innanzitutto all’Udc, che da giorni tratta con due forni, e che ieri pare averne chiuso uno: “Non ci prestiamo a giochi di palazzo e stiamo nel centrodestra”. Almeno tre voti che se ne vanno. Ma perché? Fonti trasversali raccontano che Lorenzo Cesa avrebbe chiesto l’impegno formale per un ministero ai suoi e soprattutto le dimissioni di Conte prima di martedì, per un immediato Conte ter. Ma gli emissari del premier avrebbero risposto picche. Ricostruzione che da Palazzo Chigi, va detto, smentiscono. Però di sicuro l’Udc serviva, anche per attirare altri voti, da Forza Italia.

Così il flop della trattativa con gli ex dc ha congelato certi sorrisi a Chigi. Da dove ripetono che con Renzi non si potrà mai ricucire. E soprattutto, che Conte di dimettersi non vuole saperne, né ora né a medio termine. Ma senza maggioranza assoluta, come si fa? “Ci arriveremo più avanti”, dicono. Prima bisogna blindare il voto di fiducia. Così non può stupire che la Lega, nonostante la smentita di Matteo Salvini (“Non cerchiamo nessuno”), continui a contattare grillini.

Dal M5S narrano di emissari di Giancarlo Giorgetti che lanciano battute. Mentre ieri alla Camera, l’ex 5Stelle Antonio Zennaro è passato proprio al Carroccio. Scaramucce a margine della battaglia, difficile. Lo conferma Luigi Di Maio, che fa trapelare di essere contrario a “compromessi di bassa cucina” e invoca “un ambizioso progetto politico che porti l’Italia fuori dalla crisi”. Altrimenti “l’unica strada sarebbe il voto”.

Un ultimo appello ai Responsabili, con un occhio anche a FI. Dove qualcuno che ascolta c’è, ma chissà se potrà muoversi.