(Giuseppe Di Maio) – Ieri, alla ricerca di opinioni su quanto accadeva in Senato, ho digitato “Renzi minaccia…” e mi sono fermato lì, perché l’istant di google già mi subissava di proposte. Dal 2012 nel duello con Bersani, alle difficoltà del governo Letta, alla durata indeterminata della sua parentesi alla Presidenza del Consiglio, alla minaccia telefonica per Sallusti di spezzargli le gambe (non vediamo l’ora che qualcuno la metta in atto, e/o che lo sbruffone ci faccia vedere come fa), siamo giunti a quelle recenti dopo il voto del 2018.

Dopo aver minacciato di togliersi dalle palle e mangiare pop corn, impiantando al massimo litigi consenzienti con l’altro Matteo, ha trovato il modo di convincere il milanese che era il momento di segare il ramo su cui era seduto. Ecco dunque, a grande richiesta, il ritorno del bomba. E da allora non c’è stata requie. Non appena è nato il Conte 2, Matteo s’è preso un paio di ministri e ha cambiato partito, così ogni mese c’è qualcosa del suo governo che non gli va bene. Ha minacciato di sfiduciare Bonafede sulla prescrizione, di capeggiare i libertari contro la dittatura dei dcpm, di mettersi di traverso alla revoca dei Benetton, di sfiduciare l’Azzolina, di non votare la legge di Bilancio. Quest’ultima cosa però, è un po’ diversa dalle altre. Veder passare 209 mld senza toccare palla è impossibile mandarla giù.

La terna del centrodestra che, dopo aver boicottato la legge, sabotato il governo, e fomentato l’elettorato, dopo aver fatto linguacce agli sforzi dei ministri, ora vuole dare una mano a prendere i denari. L’aiuto di Pisa arriva da Salvini e da Meloni, ansiosi di mettere le mani sul malloppo, attraverso la via maestra delle elezioni o almeno attraverso benefici più contenuti ma immediati; arriva dal Cavaliere che vuole una bicamerale (un’altra) per destinare a chi vuole lui i fondi del recovery. Nessuna differenza col nostro Renzi, che sarebbe cacciato fuori dalla task force del Presidente del Consiglio, e perciò vuole una struttura (la solita) che consenta di distribuire soldi agli imprenditori amici, di acquisire quote di potere (e altro da contrattare), specie adesso che sta correndo inseguito dai pm di Firenze.

Dal marzo del 2018 l’accozzaglia dei partiti ha scaricato sul M5S l’obbligo di governare e la responsabilità delle sorti nazionali. Perciò all’irresponsabilità di Renzi di non partecipare alle consultazioni durante il mandato esplorativo di Roberto Fico, si unì quella di Salvini che invece vi partecipò per accaparrarsi l’elettorato reazionario dei 5 stelle. Bloccò a Fraccaro la via del seggio più alto della Camera, pretese per sé la Presidenza del Senato, impedì a Di Maio di prendersi la sedia di Premier, ebbe la guida della RAI e così di seguito per ogni altra istituzione. Intanto la sua macchina della propaganda segava le gambe al M5S e criticava il suo governo. I nervi erano a fior di pelle, la responsabilità stava uccidendo i pentastellati.

Fu intollerabile per Renzi assistere inoperoso allo scandaloso successo di Salvini che succhiava sangue al Movimento mentre lo teneva per… le responsabilità, senza poter fare altrettanto. Infine, la scarsa considerazione della scaltrezza del milanese lo indusse a tendergli il tranello. La sostituzione era avvenuta con successo, ma la Lega e tutto il centrodestra non sono diminuiti nei sondaggi. Per Renzi, minacciare di andare al voto se non accontentato nelle sue pretese, significherebbe sparire. Ma c’è sempre la responsabilità: ci sono gli italiani, il recovery fund, la ricostruzione del post-covid, c’è il futuro della nazione.

E allora per adesso non ce lo togliamo di torno. Per adesso possiamo solo dire come Bernardo (uno dei sette “Magnifici” interpretato da Charles Bronson) ai figli dei peones che si lamentavano della codardia dei padri: “Non ditelo nemmeno per scherzo, essi non sono codardi! Essi hanno la vostra responsabilità, e questa gli pesa tanto che alla fine li schiaccia”. Difatti, il problema sono sempre loro, i ragazzi… il popolo. Che se non capisce in tempo chi lo ama, seguirà sempre chi lo deruba.