(Giuseppe Di Maio) – Abbiamo toccato il fondo. Ieri la Rai ha cancellato la presenza in trasmissione nel programma Titolo Quinto di Rai3. Nicola Morra è il presidente della Commissione antimafia, non uno scalzacane fastidioso. E che la decisione dei vertici della Rai sia partita dopo la pressione dei deputati di Forza Italia capeggiati dall’ignobile Presidente del Senato disposto a giurare che Ruby è la nipote di Mubarak, è solo la dimostrazione dell’inciucio destra/sinistra a cui tutta la politica italiana è stata soggetta per tutto il periodo repubblicano, e molto più durante quella che è stata chiamata “seconda repubblica”.

La nuvola di polvere su un niente rappreso, rinforzato ed esaltato per ogni dove dei giornali dei padroni, ha preso corpo con l’esclusione del “reo” dalla sua pubblica difesa. Il fumo negli occhi del rispetto dei morti è stato usato senza pudore per l’oltraggio dei vivi. Tutto quello che sta accadendo al M5S è esattamente mobbing, causato dalla discrepanza di potere reale con i suoi nemici politici e sociali. Un mobbing che di volta in volta colpisce uno dei portavoce più in vista del Movimento fino a squalificarlo agli occhi dell’elettorato. Procediamo con ordine.

Per prima fu Virginia. Le cui gesta spaziarono dagli illeciti quotidiani agli sfrenati impulsi amorosi. Non ci fu giorno che la mantide del Campidoglio non facesse parlare di sé. Poi, venne Fico, con la colf amica dell’amica e il dileggio della sua malattia. Seguì Toninelli, con le sue strane idee sui pedaggi e sui tunnel. A Di Maio fu passata in rassegna la famiglia, le carriole di sterro nell’orto, e la ditta del padre. A Bonafede fu opposto direttamente in trasmissione un giudice messo da parte nella distribuzione degli incarichi. Alfonso diventò responsabile delle sentenze, del lavoro dei cancellieri, e delle lastre di marmo sulle caviglie degli avvocati. Tridico, innegabile strumento a 5 stelle, fu torturato con un sillogismo a scorno della semplice realtà. Azzolina e il suo ministero diventarono il trastullo dell’estate; andavano persino in trasmissione con i banchi a rotelle. Ora è il tempo di Morra. Ogni qualvolta cresce un nemico degli interessi privati, la stampa lo prende di mira e agita il politicamente corretto e la libertà d’espressione.

Pensavamo che la scorsa legislatura avesse offerto il peggiore spettacolo a causa della democratura in parlamento. Pensavamo che Laura Boldrini fosse stata il peggio del peggio e che le sue performances contro i pentastellati fossero insuperabili. Invece ora più che mai sappiamo quanto il governo e il potere siano cose distanti. Sappiamo che la libertà di stampa, dietro cui si cela la libertà di dileggio e l’insulto delle prerogative democratiche, doveva essere regolamentata e non confusa con la libertà d’espressione. Sappiamo che abbiamo disatteso le speranze di Grillo quando esortava alcuni giornalisti a trovarsi un altro lavoro, e abbiamo lasciato che alcuni quotidiani si trasformassero in giornali di satira per il governo.

Di Maio, ora ministro degli Esteri, è ancora convinto che la libertà di stampa e le libertà dei giornalisti siano la stessa cosa? Che non bisogna occupare i canali della RAI, ma lasciare la libertà d’espressione a quanti vi lavorano? E’ ancora convinto che l’informazione non plasmi la volontà generale e la possibilità di politiche giuste? Il suo sodale e Paperino bleso del PD, capo dei conservatori ed erede del patto del Nazareno, che inventa ogni giorno un paradigma per mettere in difficoltà i rappresentanti del governo a 5 stelle, non dice niente a proposito di questo abuso? Diciamocelo sinceramente: siamo schiacciati da un popolo ignorante e connivente, e condannati alla responsabilità di fare qualcosa a suo favore. Ma per fortuna, tutto questo non durerà.