Scontro giallorosa sulla legge elettorale.

(di Giacomo Salvini – Il Fatto Quotidiano) – Tanti saluti alle riforme puntuali della Costituzione come il taglio dei parlamentari. Anzi: sì alla riproposizione di alcune – le peggiori – modifiche volute dalla coppia Renzi-Boschi nel 2016 e già bocciate dagli elettori. Sta tutta qui la riforma costituzionale presentata ieri al Nazareno dai vertici del Pd.

Ma di nuovo nella proposta ispirata da Enzo Cheli e Luciano Violante c’è solo il ruolo del Parlamento che si riunirà in seduta comune sia per dare e togliere la fiducia al governo, sia per votare il Bilancio che per le comunicazioni del premier prima e dopo il Consiglio Europeo.

Sul resto la grande riforma Pd è una minestra riscaldata di proposte ripescate dal ddl Renzi-Boschi e nuove regole per rafforzare il ruolo del governo legando di fatto le mani al Presidente della Repubblica con il meccanismo della sfiducia costruttiva à la tedesca.

Dalla riforma Renzi questo progetto ripesca un Senato depotenziato e che dovrebbe fare da collegamento con le Regioni. In primo luogo, con un nuovo “bicameralismo temperato”, le due Camere avranno un potere diverso sul processo legislativo: la supremazia spetterà all’aula di Montecitorio che avrà l’ultima parola sulle leggi ordinarie, mentre resta il bicameralismo paritario per le leggi elettorali e costituzionali.

I senatori avranno il potere d’inchiesta e sulle politiche pubbliche con impatto sui territori, mentre nel processo ordinario saranno praticamente inutili: potranno esaminare le leggi approvate a Montecitorio entro 15 giorni e fare delle modifiche, ma la parola finale spetterà comunque alla Camera.

Al Senato tornerebbe anche il dopo-lavoro per i consiglieri regionali: ai 200 senatori si aggiungono 21 consiglieri eletti dalle assemblee locali che dovrebbero fare la spola tra Rome e i capoluoghi. Ma ancora una volta il loro mandato sarebbe legato a quello dei consigli regionali (creando molta confusione).

Il presidente del Consiglio poi sarà rafforzato: avrà il potere di proporre al capo dello Stato la revoca di un ministro, ci vorrà la maggioranza assoluta per la sfiducia e viene introdotto il meccanismo della sfiducia costruttiva come in Germania indicando nella mozione chi dovrebbe guidare il prossimo governo.

Problema: questa modifica rischia di esautorare i poteri del Capo dello Stato di nomina del premier visto che nella forma di governo italiana, rispetto a quella tedesca, il presidente non ha solo un potere formale ma sostanziale.

La proposta non piace al M5S: “No alle riforme monstre e agli annunci di parte” dice il capogruppo alla Camera Davide Crippa e lo scontro continua anche sulla legge elettorale.

Zingaretti ha detto che la soglia del 5% “non è in discussione” facendo arrabbiare LeU e che alle preferenze preferisce i “collegi uninominali sul modello delle province” incontrando l’ostilità di Italia Viva: “Sì alle preferenze, no al Provincellum” dice Maria Elena Boschi.

Risultato: per il primo voto si dovrà aspettare il 2021.