(Giuseppe Di Maio) – I problemi dei 5 stelle nascono dalla loro debolezza ideologica e dalla presunzione di porvi rimedio con una raffazzonata mitologia. Difatti i miti dell’onestà, della democrazia diretta e del popolo sovrano sono tutti destinati a causare sonore contraddizioni e sconfitte. Ciò che finora ha salvato il Movimento (e che è ancora egemone al suo interno) è la “buona volontà”. E non sarebbe roba da poco, visto che le altre forze politiche si reggono sul suo contrario, cioè sulla cattiva volontà, e sull’interesse privato.

Purtroppo non è più il tempo di una rete pragmatica, ma il tempo invece di indicare un preciso e stabile progetto politico. Rousseau, e forse il suo erede Open, sono un mezzo idoneo per l’apprendimento amministrativo, per partecipare alla presentazione delle leggi, per votare sulle grandi tematiche o sull’indirizzo politico. Ma sono totalmente incapaci di selezionare una classe dirigente, che invece ha bisogno di altri strumenti. La simpatia e la piacioneria non possono essere il discriminante di selezione, né possono esserlo l’elenco delle competenze e degli attestati culturali. La classe dirigente non si seleziona alla maniera di un concorso a titoli, ma attraverso l’aderenza al mandato politico, dunque con la rappresentazione delle idee e non dei certificati di diplomi, di lauree, di corsi e di masters. Quando si elegge un portavoce che si conosce solo da una sua autocertificazione di abilità è peggio che lanciare in aria una monetina.

Il M5S è completamente sparito dai territori, e i meetup hanno perso la spinta propulsiva della prima stagione. Il Movimento si è verticizzato e appiattito sull’azione del governo e del parlamento. Risorge periodicamente come cartello elettorale che approfitta del sistema Rousseau, buono solo per selezionare approfittatori, che spesso hanno severi problemi economici, e che credono di risolverli con l’opportunità offerta dalla democrazia. Intanto essere attivisti spesso coincide con qualche foto nei banchetti e con la presenza costante nelle inutili chat. Senza il laboratorio territoriale e un’ossatura di partito non è possibile testare né la profondità morale, né la fedeltà al mandato.

Bisogna dire che la sola onestà non riesce ad arruolare un’intera classe dirigente, perché questa società non premia gli onesti e non ne garantisce il successo. Insomma, questo sarà possibile solo quando l’onestà dovesse andare di moda, ma fino ad allora avremo bisogno di continue verifiche. Spesso chi si trova in posizione apicale (capace dunque di ricoprire una funzione amministrativa) ci è arrivato per virtù negative, per disonestà. E questi non affolleranno mai le schiere dei samurai a 5 stelle, perché il Movimento pretende una scomoda moralità e spesso senza elargire manco ricche ricompense.

Infine la debolezza ideologica è ammessa tanto più apertamente proprio quando si dichiara la necessità del ritorno ai temi identitari, cioè a questioni pratiche in cui il Movimento si possa riconoscere. Dai “temi”, purtroppo, non è distinguibile con immediatezza il verso in cui si vorrebbe indirizzare la società, giacché la maggior parte di essi sono obiettivi neutri che qualunque forza politica potrebbe realizzare. Ciò che sottolinea più di ogni altra cosa la distanza da una scelta ideologica, è proprio l’attuale proposta di un direttivo di vertice che assicurerà a tutte le “anime” del Movimento la sopravvivenza e perciò la contraddizione.

Dobbiamo ricordare che per noi destra e sinistra si equivalgono. Esse non sono che due espressioni dell’interesse privato e della cattiva volontà. Non è certo la paura della vittoria del centrodestra a doverci trattenere nel governo col PD, ma la speranza che molti dei nostri obiettivi si possano raggiungere con quest’alleanza. Se la rete ha approvato le alleanze territoriali, non significa che dobbiamo farle per forza, ma solo se e quando ci convengano. Esattamente come il PD che le ha reclamate per primo, ma che detesta il sostegno a Roma per la Raggi.