(Giuseppe Di Maio) – Ognuno di noi ti ringrazia per l’entusiasmo e per la tua giovinezza regalati alla rifondazione della democrazia in Italia. Ma le tue incursioni con aria padronale nella vita pubblica, disperate e non più spontanee, rivelano solo l’inconsistenza ideologica del nostro Movimento. Sappi che la creatura di Grillo non è di nessuno, perché la politica e la democrazia non hanno padroni.

Al tempo in cui le televisioni di Berlusconi tenevano per mano l’elettorato italiano e gli facevano firmare la sua schiavitù, nessuno si oppose alla deriva da “tardo impero” che la politica italiana aveva imboccato. Solo a un ex comico venne l’idea di far risorgere la stanca voglia di partecipazione in un popolo espropriato della sua cittadinanza. Il fermento che stimolò non divenne mai ideologia, ma generò un metodo: ognuno è sede della democrazia, e ogni cittadino può opporsi ai poteri costituiti: uno vale uno. Poi disse anche altre cose: “Alla fine resteremo solo io e il nano”, ad esempio. A dimostrazione che le idee del fondatore erano opposte al populismo di destra e al neoliberismo. L’idolatria della prassi al posto delle parole al vento forgiò i temi identitari, le stelle del movimento che si costituì. E per la sfiducia negli altri partiti sognò un consenso popolare senza limiti. Quel sogno aprì le porte ad ogni cittadino elettore, e pose il Movimento a cavalcioni tra la destra e la sinistra. Altro che post-ideologia o artigiani del bene comune, il conflitto che allora si aprì divenne insanabile.

Così nacque la venerazione per il popolo, per la democrazia, e per la giustizia. Ma il popolo stentava a capire, la democrazia aveva regole formali, e la giustizia era nelle mani dei giudici. Ciononostante, al pari di una forza di sinistra, stando all’opposizione il Movimento è cresciuto. Intanto i santoni della democrazia a tavolino volevano selezionare una classe dirigente dal divano di casa, con concorsi a titoli e lontani dalle leggi dell’agorà. Invece di elaborare un mandato e selezionare il meglio e l’opportuno, si selezionò chiunque avesse una certa “simpatia”, dunque volontà, idoneità e morali incerte. Grillo ci aveva portato in piazza, Rousseau ci riportò a casa.

La scelta di governare, con responsabilità e lealtà, ci ha fatto smettere di parlare. I compromessi hanno generato riformine, rese possibili solo con le minacce. Il popolo misconosce e tradisce, ma noi non abbiamo fatto una legge sull’editoria, né l’abbiamo definitivamente minacciata come conditio sine qua non. Perdere i consensi ci ha permesso di fare qualcosa, non dimentichiamolo. Ma ora ne abbiamo paura. Non fu forse Grillo a dire che siamo una forza “biodegradabile”, una cosa che mentre si dissolve fa nascere qualcosa di buono intorno a sé? E allora perché ti preoccupi Dibba della débâcle alle regionali? L’attaccamento al ruolo storico del Movimento può essere peggiore dell’attaccamento alla poltrona.

E ora, con i consensi che non ci permettono nemmeno di fare opposizione, solo ora ti viene in mente di statuire un’ideologia? Solo ora vuoi porre fine all’equivoco elettorale del 4 marzo e fissare i confini dell’azione politica? Solo ora vuoi, come anche Di Maio e Grillo, creare un partito che possa discutere il mandato democratico sui territori? E’ vero, su una piattaforma in cui le idee si possono contare ma non far nascere, non è possibile intercettare le contraddizioni della realtà sociale. Ma che ne sarà del M5S ora che si apre la discussione? Sarà liberale o socialista? Quale forma prenderà il generico senso di giustizia che finora ha pervaso il Movimento? Chissà che Grillo alla fine non lo ammetta, che nell’ansia di rigenerare la democrazia non abbia ricreato solo la sinistra finita nelle mani di avanguardie false e predatrici.