(Giuseppe Di Maio) – Non ci vanno a Villa Pamphili perché non saprebbero che dire. Salvini e Meloni disertano gli “stati generali” voluti da Conte, perché di fronte alle massime autorità europee, ai premi Nobel, e alle autorità dello Stato, dell’economia e alle parti sociali, farebbero una figura barbina. Quello non sarà il luogo dove mettersi a gridare contro il governo ladro confondendo le mancanze dell’amministrazione pubblica con quelle del privato che non ha ancora inviato il modello sr41 con l’Iban del lavoratore. Né è il posto dove tirare fuori un rosario o un gagliardetto.

Un personaggio estraneo alla politica, ma capace di maneggiare la macchina dello Stato, sta mettendo a dura prova una classe dirigente abituata ad essere selezionata dalle cazzate. Non parliamo più della destra ormai incommentabile, con una preparazione e una cultura di governo scadenti, che si permette con altrettanta ola di quotidiani asserviti di chiamare incapaci i migliori governanti apparsi in Italia in tutta l’età repubblicana. Ma mi voglio riferire a quei simpaticoni dell’altra sponda abituati a confezionare paradigmi, sillogismi, e slogan. Ecco, quelli come Zingaretti & C. che non appena hanno sentito parlare di “stati generali”, cioè di politica reale, di impegni veri, e di intenzioni manifeste, hanno cominciato a tirare fuori le foglie della Pizia, su cui hanno scritto che “bisogna cambiare passo, che c’è bisogno di una svolta”, etc. Giacché non si capisce una cippa di quel che dicono, siamo autorizzati a intendere tutto, niente, o solo qualcosa: ad esempio, minacce.

Quest’ultima di Zingaretti fa il paio con quella dell’anima, quando pretendeva che questo governo non fosse la somma di due forze politiche con programmi differenti, ma una fusione che generasse addirittura un’anima. Il PD a sua volta è un’unione di più forze politiche che, se hanno generato un’anima, è un’anima sporca, e non vi dico di cosa. La creatura di Veltroni che, dopo lo sforzo del parto si è ritirato a scriverle le fesserie, invece che a farle, è una sentina di interessi. Un lurido posto senza timone né programma che da millantato partito di centrosinistra è stato capace di avere alla sua guida un uomo di destra. Un partito che è nato da un’addizione ed è finito con una divisione.

Ecco, questo partito teme Conte. Teme uno che è costretto a sostenere perché non può andare alle elezioni, perché il suo elettorato questa volta non capirebbe. Teme uno che sta mettendo a nudo la selezione della classe politica italiana, sia di destra che di sinistra. Uno che col favore del M5S sta parlando solo di cose da fare, non di equilibrismi dialettici, né di fesserie populiste. E’ uno che se lo lasci fare t’incalza con progetti ed idee insostenibili per un’area abituata a vivere della contrapposizione destra/sinistra, della critica dei generatori d’odio, di violenza, delle puttanate dei sentimenti, invece che dei reali programmi politici ed economici.

La generazione delle lumache bavose, blese e incomprensibili, ha fatto il suo tempo. L’urgenza di interventi, che parte da una società irrequieta e mobilitata dai rigori della quarantena, ha bisogno di risposte. Ha bisogno di un verso chiaro nella politica, di liberare le forze produttrici dal peso dei fuchi di regime, e di sostenerle. E ha bisogno soprattutto di ripartire con trasparenza la ricchezza generata, diminuendo il peso della disuguaglianza. A quelle lumache in cerca dell’anima per fondere gli elettori del M5S con quelli del PD, possiamo dire: “Siete stati scoperti. Il vostro elettorato è e sarà, solo quello dei gretti e piagnucolosi conservatori.”