(Andrea Giannotti) – Poche ore fa, sull’onda della rimozione delle statue dei colonialisti inglesi in UK, è stato proposto da “I Sentinelli” di Milano di fare altrettanto con la statua di Indro Montanelli, eretta nel 2006 nei giardini pubblici
milanesi di Via Palestro. Lo dico fin da subito, io posseggo e coltivo ideali di sinistra, una Sinistra assente da
decenni (un po’ come quella Destra scomparsa dall’800). Tuttavia, questi ideali non mi impediscono di
nutrire una profonda ammirazione per il Montanelli scrittore.

Certo, si potrebbe discorrere a lungo su di un personaggio che ha rappresentato, vissuto e descritto il XX
secolo, italiano ed europeo, a 360 gradi. Si potrebbe parlare dei suoi “stupidi e bellissimi vent’anni” in cui
militò in quel Partito Fascista che lo mise pochi anni dopo in prigione e lo condannò (tramite il Nazismo) a
morte. Si potrebbe dibattere sul suo “antifascismo scettico” e sul suo “anticomunismo” risoluto (ed essere
anticomunisti all’epoca significava essere antistalinisti). Si potrebbero menzionare i suoi aiuti (sia concreti
sia scritti a penna) nei confronti di molti ebrei sotto le leggi razziali. Si potrebbe citare l’attentato subito da
due brigatisti rossi, con quattro colpi di pistola alle ginocchia, a Milano durante gli “anni di piombo”. C’è di
più, lo stesso Montanelli andò in carcere dai suoi attentatori e li perdonò, loro si scusarono e, anni più tardi,
alla morte del giornalista, uno dei due fu l’ultimo a lasciare in lacrime la camera ardente. Si potrebbe poi
ricordare il suo fervido antiberlusconismo, che gli costò “la sua creatura”, Il Giornale, e che lo eresse a
“santone” (“ma io sono un liberal-conservatore!”) della Sinistra (votata nel 2001 dallo stesso Montanelli e
che riabilitava comodamente i nemici prima demonizzati; un po’ come con l’allievo Marco Travaglio). Del
più grande giornalista italiano, si potrebbe ammirare la penna schietta e perentoria o leggere i capolavori
storici, come la limpida e travolgente Storia d’Italia. Si potrebbe, infine, riconoscere la sua unicità nel
tuonare: “Io non lo rinnego, non nego affatto il mio passato. E ho un profondo disprezzo per gli Italiani che,
essendo passati per le stesse avventure sentimentali, oggi le disconoscono. No, il fascismo va condannato,
Mussolini va condannato, ma noi dobbiamo riconoscere che hanno rappresentato qualche cosa nella nostra
vita, di sbagliato, ma qualche cosa”. Proprio perché, come disse Piero Gobetti, “Mussolini e il fascismo sono
l’autobiografia dell’Italia e degli Italiani”. E con le esperienze di vita bisogna farci i conti, non rinnegarle.

Fu proprio in nome delle sue esperienze di vita che Montanelli ebbe il coraggio di narrare l’episodio della
sposa 12/14enne comprata in Abissinia fra il 1935 e il 1936. Lo raccontò senza nascondersi, dal 1972 (il
video in cui una coraggiosa e impeccabile Elvira Banotti mise in imbarazzo il giornalista è ormai noto) e
continuò a farlo fino ad una sua Stanza del 2000 su Il Corriere della Sera. È indubbio: questo fu un episodio
(unito al crudo linguaggio con cui lo narrò) ignominioso, che rappresenta una tremenda macchia nella sua
affascinante vita e che va condannato sin dal principio. Il motivo – ritardatario (da buoni italiani) – per la
rimozione dunque sussiste, ma era davvero necessario attendere le iniziative popolari inglesi per giustificare
una simile azione (legittima e che non intaccherà i prodotti dell’uomo)?

Perciò, riguardo la proposta de “I Sentinelli”, mi limito a commentare con le stesse parole di Montanelli
pronunciate in uno dei suoi episodi della Storia d’Italia in formato video: “Montanelli” – chiese Alain Elkann “ma tra il ‘68 francese, il mitico Maggio di Parigi, e il ‘68 italiano, ci furono delle differenze?”. Rispose
Montanelli, “Mah, la differenza che passa fra l’originale e il facsimile. Il ‘68 nacque in Francia e in Italia fu
un fatto di riporto, di imitazione, che vi fu un po’ in tutto il mondo, ma particolarmente in Italia, dove non
nasce mai niente, è sempre qualcosa di imitato dagli altri”.

Ecco, mutatis mutandis, quale penso che sia la differenza che passa fra la rimozione delle statue dei mercanti
di schiavi Edward Colston a Bristol e Robert Milligan a Londra e quella proposta per la statua di Indro
Montanelli a Milano.