(Giuseppe Di Maio) – La prima cosa che mi stupì era la quantità di gente di destra che faceva parte del Movimento. Quelli che erano stati compagni e che venivano dalla sinistra erano davvero pochi. Eppure il mio marxismo viscerale mi indicava il M5S quale nuova speranza dei lavoratori. Mi ero forse sbagliato? A Vicenza poi, l’animo reazionario è intriso fino all’osso di leghismo, e i pentastellati vicentini, già allora, sapevano più di lega che di rivoluzione.

“Alla fine resteremo io e il nano” — aveva detto Grillo, tentando persino di iscriversi al PD. Voleva dire che era in grado di sostituire la sinistra nella sua missione: di opporsi alla destra con un’efficacia che ormai i presunti compagni avevano perduto da tempo. Eppure, tutta quella gente che si nascondeva dietro il post-ideologismo, era proprio di destra. Erano di destra i loro ideali, i loro metodi, le loro presunzioni, e sopportavano chi non lo era come un prodotto inevitabile del successo elettorale.

Lo “tsunami tour” aveva contribuito al 25% nelle urne, e gli ideali apparentemente neutri ed ecologici si sposarono con la giustizia sociale e con l’onestà. Fu una pesca fortunata, e nelle reti a strascico restò impigliata una varietà incredibile di pesci che lo stesso Beppe non aveva previsto. E ciò che non aveva previsto era appunto l’obiettivo sociale e politico dei nuovi elettori, dunque, anche la loro fedeltà. Da allora i suoi comizi furono sostituiti dagli interventi in aula dei grillini; le sue performances, dalle apparizioni pubbliche di Dibba, Di Maio e gli altri.
Dopo 5 anni si poteva dire che il grido di onestà non era stato efficacemente contrastato dal sistema. La palese faziosità e l’ingiustizia partigiana dei Presidenti di Camera e Senato, le porcate di tutte le reti televisive e dei giornali al seguito dei padroni avevano riempito i social e gonfiato di rancore gli italiani. L’unico vero argine al nuovo tsunami grillino fu la legge elettorale. Il consenso ingrossava il monte delle schede pentastellate, ma già cresceva anche quello della Lega. Cosa stava succedendo?

Con la disfatta di Renzi l’enorme bacino dell’elettorato reazionario aveva perso il suo ultimo amore. Nella carenza di timonieri dei desideri illeciti, gli italiani avevano diretto le simpatie verso quella manciata di ragazzi che indicavano gli abusi del potere. Ed ecco che nasce l’equivoco. Un numero sostanzioso di elettori crede che quei giovani siano gli alfieri dei propri interessi. Ma il messaggio dei grillini era stato frainteso. O meglio, questi elettori non avevano nessuna capacità di discernere tra lecito e illecito, tra privato e pubblico, tra le norme contestate ai governi precedenti e la difesa delle regole. La parallela crescita della Lega testimoniò che, a naso, parecchi di essi avevano capito chi poteva veramente sostenere il loro spirito privato.

Il M5S, trovatosi involontariamente nella scia degli amori reazionari, fece un’incetta di voti insperata. Ma, “abbasso la legge Fornero, flat tax, sicurezza, stop migranti, strizzata d’occhio alle impunità”, ecco i vantaggi semplici che prometteva la Lega. Tutto l’elettorato reazionario era eccitato dall’irresponsabilità della politica di Salvini. Da allora, non è stata solo colpa del potere taumaturgico attribuito all’azione di governo, a generare la delusione che fece calare il Movimento nei sondaggi. A causarne il tracollo, fu piuttosto la fine di un’indicazione costante nella comunicazione a 5 stelle. Fu la fine del sogno, di un miraggio collettivo che il M5S aveva riempito con onestà, giustizia, opportunità, e che gli italiani traducevano con libertà, vantaggio, utilità. Fu l’inaspettato rispetto per le regole, che creò la disillusione dei nuovi elettori di destra caduti nella rete pentastellata.

Ogni successiva analisi politica e ogni considerazione sui governi con la Lega e col PD devono necessariamente partire dalla legge elettorale e dall’equivoco del 4 marzo 2018. Le contraddizioni del Movimento e la sostanza dei suoi avversari sono restate immutate. Solo così si può spiegare come incredibilmente siano state più realizzabili le riforme sociali con la Lega, troppo concentrata sul successo elettorale, che con il PD, afflitto da vuoto ideale cronico e dall’impossibilità di racimolare mazzette col M5S al governo. Renzi, come elemento perturbatore della solidità del governo, spiega solo alcune acutezze del male, ma non la sua cronicità.