(Giuseppe Di Maio) – Durante gli anni ’80, la polarizzazione del dibattito tra Craxi e De Mita, tra Nord e Sud, città e campagna, che portò alla marginalizzazione elettorale del PCI e del carico ideale che era stato egemone nel decennio precedente, fu solo uno degli aspetti della volgarizzazione della partecipazione politica. L’altro, fu l’avvento della Lega.

Lo scontro di soggetti sociali ed economici costretti alla convivenza dagli anni del boom, aveva procurato non pochi motivi di frizione nelle periferie industriali delle grandi città del Nord. I terroni avevano invaso i cortili brianzoli, le cascine del piano lombardo, i viali dalle Vallette a Nichelino. E malgrado fossero sfruttati e vilipesi, dopo qualche lustro avevano dato inizio alla scalata di non pochi centri di potere. Si allocavano nelle amministrazioni pubbliche, nel tessuto commerciale, nella finanza. Il disagio dei lombardi e dei padani superati dall’intraprendenza meridionale si fece invidia. L’orgoglio lombardo aveva assolutamente bisogno di un braccio temporale.

Dall’aprile 1984 alle elezioni politiche del 1987 la Lega lombarda acquista rappresentanti in amministrazioni provinciali e persino un seggio al Senato. Che Umberto Bossi fosse un iscritto ad una sezione del PCI di Samarate dimostra solo la provenienza popolare dei capi fondatori e non il loro orientamento politico. La Lega lombarda è antidemocratica e reazionaria dalla sua fondazione, l’ostilità verso i meridionali è il suo contenuto ideologico. Il corpo mitologico che arricchì il miserabile antimeridionalismo cominciò ad essere costruito solo dopo la fortunata campagna elettorale del 1992, quando la pattuglia leghista a Roma fu di ben 80 parlamentari.

L’ideologia della Lega è stata la prevaricazione, la fisicità, la territorialità, la malafede. La padronalità preconcetta, l’arroganza, l’esaltazione del vincolo e dell’ignoranza, avrebbero dovuto far salire le quotazioni sociali di ogni leghista, avrebbero dovuto arricchirlo a scapito dei terroni. E ci sono riusciti. I leghisti rubarono al grido di Roma ladrona, e un esercito di capre analfabete invase le amministrazioni del Nord ruttando al grido di “fuori il terrone incapace” e “padroni a casa nostra”. Da coscienza della sinistra, quale l’aveva dipinta Bossi nei primi tempi, la Lega e il leghismo divennero contigui alla destra, fino a rappresentare un’ampia parte dell’animo fascista nazionale. Si era replicato l’identico percorso reazionario dei Fasci di combattimento.

La Lega ha vissuto per 30 anni come un parassita dell’egemonia del Nord, dell’iniqua ripartizione della ricchezza fino alle recessione del 2007 e dei debiti sovrani. La sua questione morale, la decadenza del berlusconismo e l’affanno dell’Occidente hanno messo in crisi il partito, ma non ne hanno cambiato il nucleo ideologico. Con Salvini l’iniezione di gioventù ha moltiplicato i rutti e inseguito l’approvazione di tutto l’elettorato reazionario, non escluso quello meridionale. Si è capito che il più grande serbatoio della reazione e dell’ignoranza era senza discussione nell’animo cattolico anticristiano, e per poterlo seguire Matteo ha fatto deporre ai suoi le corna gallo-padane e baciare i grani del rosario.

Ecco: questo è l’elettorato che cerca vantaggi dalla politica, il popolo che cerca le rivincite. I suoi campioni sono i ladri che strizzano l’occhio agli interessi disonesti, che prospettano guadagni illegittimi, profitti immeritati. Altra capacità non è necessaria. Lo sport nazionale dell’informazione asservita (cioè quello di colpire gli unici competenti che lavorano e studiano ogni maledetto passaggio politico, sì, proprio i laici del M5S) ha persino fatto diventare esperti fenomeni psicologici e inqualificabili fessi. Gallera che spiega Rt = 0,51, non è un caso isolato, ma solo l’ultima delle gravi distorsioni a cui ha condotto la parabola di questa politica. Altre ce ne attendono finché vorremo sopportare il voto degli asini.