(Giuseppe Di Maio) – In Italia la lotta di classe opprime il lavoro, lo Stato, la politica. L’organizzazione del lavoro, l’amministrazione pubblica, e il pensiero politico e sociale sono invasi e regolati dall’interesse privato. Non c’è un solo ufficio, attività saltuaria o costante, funzione privata o pubblica, impiego religioso o laico, che non abbia interesse a produrre disuguaglianza a proprio vantaggio.

Mi si può obiettare che è così dappertutto. Replico a mia volta che nei paesi cosiddetti civili un certo pudore, a volte rappresentato da un’autorità neutrale, a volte da un profondo spirito nazionale, impedisce alle derive anarco-feudali di scatenare senza quartiere i signori della guerra di classe. Nel nostro paese lo scontro sociale e la lotta politica sono addirittura travestiti da dovere d’informazione. E nel nostro paese non c’è posto più marcio di quello riservato all’arbitro della lotta di classe, ambiente più corrotto di quello della Magistratura.

200 giudici sono scattati all’unisono con un orientamento che ha preso le mosse da una circolare sulle norme anticovid, in cui si richiedeva il monitoraggio delle patologie dei detenuti ultrasettantenni. Il risultato è la scarcerazione dei boss mafiosi, contro la logica, le disposizioni sanitarie, e la giustizia. Siccome le sentenze dei magistrati devono essere indiscutibili, allora si è cominciato a discutere della circolare. La circolare non dice niente sulle scarcerazioni? Si è contestato quindi il capo del DAP (Dipartimento Amministrazione Penitenziaria) che l’ha emanata; che, non essendo a sua volta amico dei mafiosi, potrebbe però essere inadeguato al compito. E ancora più inadeguato è il ministro che lo ha nominato.

Ci siamo quasi. Il ministro si chiama Bonafede e appartiene al M5S, di cui è arcinota la valenza ancipite: se non sono corrotti, allora sono incapaci. Col nuovo governo, Virginia Raggi, le sue intemperanze e i suoi errori sono stati dimenticati. Le carriole di sterro del padre di Di Maio non hanno sortito il risultato sperato. O forse sì! ! I sondaggi parlano chiaro: il Movimento è in caduta libera, il suo zoccolo duro per ora è attestato a poco più del 10%. La stampa nazionale con la sua “deformazione” non aveva trovato il bandolo della calunnia dileggiante durante il quinquennio Letta-Renzi-Gentiloni, ma adesso pare perfettamente concorde nell’indicare il nemico della democrazia. Adesso sa che ce la sta facendo.

Ma bisogna fare in fretta. Gli italiani hanno acconsentito di aumentare la spesa a debito, fosse anche con i prestiti europei, e una quantità ingente di miliardi si appresta ad essere spesa dal governo in carica. Oggi anche un analfabeta dice che i 5 stelle sono incapaci. Il gruppo misto ingrossa le file, riempito dai fuoriusciti che avvertono l’inutilità di tagliarsi lo stipendio fino al termine della legislatura. Di Maio pare depresso, Di Battista ha perso la fiducia cieca nei giudici, noi abbiamo seri dubbi sull’intelligenza politica di Di Matteo che va nella tana della volpe travestito da gallina. La gallina canta un coccodè ascoltato in religioso silenzio; se telefona anche Bonafede non lo fanno parlare; se lo rifà Giarrusso, gli attaccano il telefono in faccia.

Ieri sera l’hanno rifatto. Nel programma di “Prove di una dittatura mediatica” c’erano GianBurrasca Martelli, Telese con sempre più vaghi sintomi di vergogna, in collegamento esterno l’amico napoletano del giudice Nino, e la figura più inquietante del giornalismo milanese affetto da cretinismo sfrenato. E’ stato decretato che la Magistratura è una, santa, infallibile; che il ministro si deve dimettere, ma meglio se si va ad elezioni anticipate; che FI e tutta la destra sono la vera task force dell’antimafia nostrana. E io che malfidente pensavo ai giudici sensibili all’autorità, alle maggioranze, e al potere del denaro, a cui avrei potuto aggiungere solo la persuasione della violenza.

Fatemi almeno sentire Berlusconi che accusa Bonafede di contiguità con le cosche di Palermo.