(Andrea Giannotti) – Quando questa notte impazzavano sul web le prime pagine de Il Giornale e Libero, il momento dello sbigottimento per gli indecenti titoli sulla liberazione di Silvia Romano (“Schiaffo all’Italia. Islamica e felice. Silvia l’ingrata”, “Un velo pietoso”, “È come vedere tornare un prigioniero deicampi di concentramento orgogliosamente vestito da nazista”, “Abbiamo liberato un’islamica”, “La sua smania ci è costata cara”) si è presto tramutato nell’intenzione di voler commentare tramite parole non mie, ma di chi si sedette alla scrivania de “Il Giornale” per primo e di conseguenza molto prima dei Direttori “eredi” Alessandro Sallusti e Vittorio Feltri.

Ebbene Indro Montanelli, il quale (chi mi legge ormai lo sa) ricorre spesso nei miei scritti essendogli affezionato culturalmente anche se meno ideologicamente, nel 1974 fondò, per “rivolta” e “sfida”, “Il Giornale (nuovo)”, riscuotendo un clamoroso successo e assumendo ancora una volta un ruolo fondamentale nell’informazione nazionale (fino alla separazione da esso nel 1994). Nel primo glorioso editoriale, Montanelli scrisse riguardo l’origine, gli obiettivi e le modalità de Il Giornale: “Chi sarà questo lettore noi non sappiamo perché non siamo un giornale di parte, e tantomeno di partito, e nemmeno di classi o ceti. In compenso sappiamo benissimo chi non lo sarà. Non lo sarà chi dal giornale vuole soltanto la «sensazione» […]. E infine non lo sarà chi concepisce il giornale come una fonte inesauribile di scandali fine a se stessi. Di scandali purtroppo la vita del nostro Paese è gremita, e noi non mancheremo di denunciarli con quella franchezza di cui crediamo che i nostri nomi bastino a fornire garanzia. Ma non lo faremo per metterci al rimorchio di quella insensata e cupa frenesia di dissoluzione in cui si sfoga un certo qualunquismo, non importa se di destra o di sinistra. Del sistema in cui viviamo conosciamo tutte le piaghe, e non ci stancheremo di metterle a vivo. Ma per contribuire a cicatrizzarle, non a propagarne la cancrena. […] Vogliamo creare, o ricreare un certo costume giornalistico di serietà e di rigore […]. Quanto al nostro modo d’intendere e di praticare l’obiettività dell’informazione e la sua netta distinzione dal commento, vera garanzia d’imparzialità giornalistica, non vogliamo dilungarci perché da oggi in poi esso sarà sotto gli occhi del lettore, unico giudice competente a pronunziarsi”.
Caro Montanelli, che valore hanno oggi queste Sue parole? Se solo potesse assistere al vivaio giornalistico odierno coi suoi proclami! Oggi, al lettore, non vengono imposte opinioni (errore da non commettere, come Lei suggerì in una stanza del 30/04/1997), ma giudizi sommari e propagandistici di bassa lega che fomentano i meschini istinti del poco colto tessuto umano e sociale del nostro paese. Il realismo prova a confortarmi sul fatto che, in fin dei conti, si tratta di sgradevoli e polemiche minoranze. Ammesso e non concesso che sia vero, è tuttavia il Suo realismo che mi convince che “le minoranze sono rumorosissime, e in Italia non sono le ragioni, ma i rumori quelli che finiscono sempre per vincere” (4/11/2000). Ecco perché, sebbene ancora in (non primissima) giovane età, ma Suo assiduo lettore, sono fermamente e presuntuosamente convinto che mai Lei avrebbe adoperato toni simili – che non riporterò ulteriormente, basti il pessimo assaggio iniziale – circa una ragazza (accusata anche del suo volontariato) prigioniera in Africa per un anno e mezzo. Di fronte non solo all’eclissarsi di una parte morale del giornalismo italiano (posto che essa fosse mai stata “viva”), ma anche al palesarsi dell’ignoranza di un’Italia destinata ad essere ricordata sempre più per la sua barbarie e indecenza culturale, temo, caro Montanelli, che avrebbe nuovamente rassegnato le sue dimissioni da italiano.
È a questa Italia pseudo-politica e pseudo-giornalistica che mi sento anche io tragicamente “condannato”. Posso dunque concludere con una diretta ed inequivocabile “sensazione”? Che schifo.
Non si preoccupi, sono giornalisti con la “g” molto minuscola e meschina. Salutissimi
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Caro Giannotti, tutti coloro che ancora possiedono un minimo di onestà intellettuale, non potranno che essere d’accordo con la sua dolente denuncia.
Eppure mi sembrerebbe più utile per combattere i “meschini istinti del poco colto tessuto umano e sociale del nostro Paese (cit.)” prendersela un po’ meno col bastone e un po’ più con chi quel bastone impugna.
E non mi riferisco ai Partiti tradizionali: Lega, PD, FI, FdI, +Europa, Italia Morta e via dicendo perché anche
loro sono parte del bastone che Lorsignori usano senza risparmio sulle nostre schiene… e senza nemmeno averci concesso il miraggio della carota.
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Sarò un vecchio tradizionalista, ma se un giornalista è troppo ricco, mi puzza. Quanto al potere, è noto che io ho rinunciato a un seggio di senatore a vita. Non è stato un gesto di esibizionismo, ma un modo concreto per dire quello che penso: il giornalista deve tenere il potere a una distanza di sicurezza. Abbiamo l’Ordine dei giornalisti.
Non ha alcuna funzione, se non quella comune a tutti gli ordini professionali: difendere mafie di interessi corporativi.
[Montanelli – 10 agosto 2001]
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x Untu lo so, sono un rompiglioni, ma è più forte di me: Indro è morto il 22 luglio 2001, tu hai messo la data del 10 agosto 2001
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Montanelli era un pessimista ad oltranza, ma ha combattuto fino a 92 anni contro il pessimismo degli altri.
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E insomma uno deve passare a miglior vita per essere apprezzato dall’intellighentia integrata.
In vita calibro nove nei polpacci per zittirne la voce.
È così che va il mondo nel Belpaese.
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