Tutti abbiamo ascoltato qualche dichiarazione di ricercatori, amministratori delegati, esperti di vario tipo circa il fatto che sia più o meno imminente l’arrivo di un vaccino contro SARS-CoV-2. “Il vaccino sarà pronto a settembre” – qualcuno ha persino detto.
(Enrico Bucci – ilfoglio.it) – Giustamente, la maggior parte dei ricercatori ha sottolineato come la sperimentazione di un vaccino – dal suo disegno, alle prove di tossicità in esseri umani fino alle prove di efficacia – possa essere accelerata quanto si vuole, ma non compressa fino al punto di evitare i classici studi di fase 1 e 2, i quali, proprio perché devono portare prove inconfutabili di sicurezza ed efficacia, vanno condotti con tutti i crismi e nelle migliori condizioni possibili dal punto di vista della robustezza statistica e dell’affidabilità dei risultati. I ricercatori, quindi, ci hanno già avvisato di non credere a chi annunciava un vaccino a giugno o a settembre.
Vorrei però qui richiamare un aspetto ulteriore, prima che i lettori e i cittadini siano indotti a pensare che si tratti di aspettare qualche mese, per avere però poi un vaccino funzionante dai ricercatori. Non mi riferisco qui al fatto che non è detto che si ottenga un vaccino o che l’immunità da questo indotta sia sufficientemente stabile; diamo per buoni anche questi punti, e immaginiamo davvero che il lavoro dei ricercatori finisca nel primo semestre del prossimo anno. L’equivoco in cui possono cadere cittadini e decisori politici sta nell’immaginare che il momento in cui i ricercatori annunceranno “abbiamo il vaccino” sia sostanzialmente il momento in cui il più è fatto, e si possa rapidamente arrivare alla produzione di un numero di dosi sufficienti per sconfiggere il virus. Questa visione ingenua nasce dall’idea che per la manifattura delle dosi di vaccino necessarie – svariati miliardi – sia magari sufficiente la riconversione di impianti dedicati ad altri farmaci o altri vaccini.
Per riportare il lettore con i piedi per terra mi rifarò principalmente nella discussione che segue all’insegnamento di Stanley Plotkin, medico americano esperto mondiale di produzione di vaccini e consulente per diverse aziende del settore, il quale ha dedicato diversi suoi scritti a spiegare in dettaglio cosa sia davvero la produzione di vaccini su larga scala.about:blank
Cominciamo quindi ad esaminare la capacità produttiva attuale di vaccini nel mondo. Innanzitutto, vorrei ricordare che vaccini vendibili nei paesi avanzati del mondo devono aver passato criteri di certificazione e qualità molto alti, che per esempio non sono attualmente soddisfatti dagli impianti di molti importanti paesi, come la Cina. È difficile quindi riuscire a calcolare con esattezza quale sia la capacità produttiva delle aziende con standard adeguati; si può immaginare che sia nell’ordine dei miliardi di dosi, ma queste sono suddivise tra tutti i vaccini – influenza, polio, morbillo eccetera. Inoltre – e questo è l’aspetto che conta – sebbene l’aspetto generale degli impianti di produzione per questi vaccini possa apparire simile all’occhio dei non esperti, in realtà si tratta di impianti adattati alla produzione di uno specifico vaccino, a cominciare dai bioreattori e dalle apparecchiature che servono a testare in maniera accurata ed efficiente la qualità delle dosi prodotte. Esiste flessibilità nella produzione, ma solo per scalare secondo la domanda la quantità di un certo vaccino; molto difficile se non impossibile sarebbe invece la riconversione alla produzione. Inoltre, questi impianti non possono essere fermati e riconvertiti, senza contemporaneamente rischiare altre pandemie da patogeni già noti: questo perché non esiste un eccesso di produzione o scorte sufficienti di vaccini tali da potersi permettere il rischio di rimanere con la produzione ferma per tempi lunghi.
Dovendo quindi ricorrere a nuovi impianti per la produzione in scala molto larga di un eventuale vaccino contro SARS-CoV-2, definita la sua formulazione finale e terminato il processo di approvazione dagli enti regolatori, bisognerà realizzare impianti dedicati e disegnati specificamente per quel vaccino. Questi impianti sono altamente “personalizzati”, e non si trovano sul mercato come moduli standard da assemblare: ci vorranno progetti specifici, da parte di ingegneri ultra-specializzati, che assegneranno commesse specifiche ad alcuni produttori specifici, unici in grado di rispettare gli standard e la flessibilità di ingegnerizzazione richiesta. Di conseguenza, il costo di tali impianti è esorbitante: i dati indicano una media di circa 500 milioni di dollari, ma anche qui è difficile sapere quale sarebbe il costo finale per uno specifico impianto ottimizzato per il futuro vaccino contro il coronavirus.
Una volta che sia chiaro il progetto dell’impianto e l’ordine sia avvenuto, la sua fabbricazione dall’inizio alla fine richiede a sua volta mesi, se non anni; persino i materiali da utilizzare, principalmente acciai e vetri di grado farmaceutico, sono disponibili solo in quantità limitata e su ordinazione specifica. Anche quando gli impianti siano pronti, comincia subito dopo la selezione e la formazione di personale altamente specialistico, che non si trova agli angoli delle strade; allo stesso tempo, tutti i protocolli di controllo qualità necessari devono essere testati e validati sulla linea di nuovo funzionamento, prima che sia raggiunto il grado di sicurezza e certificazione necessari ad avviare la produzione vera e propria. E attenzione: non solo si deve produrre il vaccino, ma anche le siringhe da fornire preconfezionate, anche esse con qualità, disegno e standard più elevati del solito (ad esempio, vetri di grado farmaceutico e aghi dal disegno speciale in acciaio speciale) in miliardi di esemplari.
Ignorare l’insieme di questi passaggi, il tempo e gli sforzi anche economici che questo richiede, equivale all’atteggiamento di chi crede che la carne finisca al supermercato magicamente e sia pronta per il consumo, senza nulla sapere dell’intera filiera produttiva che porta da un allevamento a una bistecca e di ciò che questa filiera comporta: comodo, ma pericolosamente irrealistico quando si tratta di fare in modo che le nostre aspettative rispondano a standard realistici.
Aspettative che, nel migliore dei casi, saranno deluse da chi invece continua a lanciare annunci di vaccini in arrivo in pochi mesi o già dietro l’angolo; e lo dico con lo spirito di chi spera di essere smentito da un repentino ed eccezionale processo accelerato, come mi invita a fare qualche mio amico più fiducioso che guarda alla velocità con cui stanno procedendo le nostre scoperte su SARS-CoV-2.