(di Daniela Ranieri – Il Fatto Quotidiano) – Ormai è un filone, un genere, una tipicità: come il sonetto toscano, i violini di Cremona, le ceramiche di Vietri. È l’ultimatum di Renzi. Il 20 agosto 2019 è iniziata la fase di convivenza degli italiani con questo morbo. È una scheggia impazzita, una spada che pende. Oddio, che farà? Farà cadere il governo? Si alleerà con Salvini? Entrerà in Forza Italia? Giacché di tutto lo si ritiene capace. Era il nostro sadomasochistico sollazzo fino al 27 febbraio. Poi è arrivato il Coronavirus, e con esso i lutti, la paura, la responsabilità, la solidarietà; si sono chiusi i teatri, i cinema, i circhi; sono usciti i pagliacci.

L’ultimatum di Renzi, invece, non ha chiuso mai.

Ieri in Senato il Nando Orfei del 2%, opportunamente anticipato da agenzie che lo davano in assetto da ultimatum, ha denunciato il “regime degli arresti domiciliari”, lo “Stato etico”, il “paternalismo populista” di Conte, tutte violazioni della Costituzione (quella del ’48, s’immagina, rimasta illesa dopo il tentato scasso del suddetto).

L’abbiamo sentito dire: “Chi dicesse di riaprire tutto andrebbe ricoverato”, magari nella stessa stanza con quello che il 28 marzo ha detto: “Le fabbriche devono riaprire prima di Pasqua. Poi i negozi, le scuole, le librerie, le messe. Si torni a scuola il 4 maggio”; citare Seneca (poveraccio, dopo l’agonia per dissanguamento nella vasca gli mancava solo questa); poi minacciare di togliere il tappo, cioè sé stesso, a una maggioranza stremata dalla durezza del momento.

Volevamo commentare lo strano caso di un componente del governo che ne è simultaneamente il principale oppositore; poi lo abbiamo sentito dire che “se la gente di Bergamo e Brescia che non c’è più potesse parlare direbbe ‘ripartite anche per noi’”, e abbiamo capito una volta per tutte che il merito per costui è irrilevante.

È tutto cinismo d’accatto, giocoleria della tensione, esibizionismo da torero. Ormai è un caratterista di Fellini. Ci vergogniamo per lui.