(Giuseppe Di Maio) – Durante questa emergenza in nessun paese del mondo le opposizioni attaccano i loro governi. Il caso italiano spiega l’atrocità della battaglia politica nel nostro paese, ci insegna che non siamo pronti alle regole della rappresentanza democratica.

Preoccupata solo della curva dei sondaggi e non da quella dell’infezione, la Lega (nord) si è asserragliata in parlamento per testimoniare agli italiani un non ben identificato presidio di democrazia. Tutte le opposizioni, interne ed esterne al governo, sono gelose della visibilità mediatica del Presidente del Consiglio in questo momento eccezionale e dalle politiche obbligate, del successo che la sua voce pacata sta avendo presso l’elettorato. A nulla valgono le rassicurazioni dello stesso premier che la sua esposizione non cerca favori. Meloni, Renzi e Salvini non sono d’accordo, non gli credono.

Non ci sono paralleli col passato. La destra attuale, che spesso viene paragonata a quella del ventennio, non ha niente della tragica sostanza che impregnava il Partito Nazionale Fascista. Ora, l’ingrediente maggiore della polta di centrodestra è la buffonata, che se portata alle estreme conseguenze può essere persino più fatale della sua triste precorritrice.

I cento anni che ci separano dall’avvento del PNF alla guida del paese hanno assistito all’emancipazione politica di numerosi ceti popolari. Se allora, per sdoganare l’istruzione mediocre del Duce, il fascismo dovette concepire per lui la celebrazione costante di supposte qualità eccezionali, adesso nessuno più si sorprende se nel governo possa entrare un cittadino dotato della sola scuola dell’obbligo. Il pensiero unico nel togliere ogni divieto d’accesso politico a svariate forme di disuguaglianza, ha contribuito involontariamente a rendere egemone un tipo morale, oltre che culturale, seriamente scadente.

E’ più che celebre il passo di Piero Gobetti ne “La rivoluzione liberale” in cui, parlando di Mussolini, dice: “Gli manca il senso squisitamente moderno dell’ironia, non comprende la storia se non per miti, gli sfugge la finezza critica dell’attività creativa che è dote centrale del grande politico.” La pagina intera e molte altre del suo “Saggio sulla lotta politica in Italia” si cuciono a pennello su molti rappresentanti della destra attuale. Oggi Claudio Borghi (inutilmente laureato) per denigrare Conte ha agitato in aula le fantastiche virtù di Alberto da Giussano, Ettore Fieramosca e Renzo Tramaglino, personaggi inventati o pericolosamente a cavalcioni tra storia e leggenda, che dovrebbero invece ispirare chi ricopre la carica di Presidente del Consiglio.

Salvini e Meloni sono rappresentanti perfetti di un ceto sociale che aspira ai vantaggi sociali e che presume di non doversi istruire oltre. Il cieco revanchismo sociale e la turpe irresponsabilità del brodo reazionario, hanno assoldato due cittadini che indagano solo una parte della complessità sociale, e interpretano solo gli egoismi del loro elettorato. Essi ignorano la dimensione internazionale dell’Italia, non indicano per essa nessun piano economico e politico, non conoscono la sua storia. La cultura che viene loro dalla frequentazione dei loro licei è appena sufficiente a renderli strumento dei poteri forti stranieri e nostrani. La loro politica ha solo impronta elettorale.

L’attuale momento per il paese è terribilmente delicato. La disapprovazione eversiva di chicchessia può mettere a rischio l’intera nazione. E’ il momento in cui il patto sociale e la sua coesione sono decisivi, e chi si assume la responsabilità politica si accolla una mole insopportabile di contraddizioni pregresse. Se ognuno di noi avesse fatto il proprio dovere fin dall’inizio, adesso saremmo già tutti per strada. E stiamo pur certi: se si ode il riso e l’ululato di iene e sciacalli fuori della tana, che indicano come nostro sommo nemico il leone, è solo perché vogliono prenderne il posto e predare.