(Andrea Giannotti) – Oramai gli editoriali e gli articoli contro il 25 Aprile sono diventati più tradizione della tradizione stessa della Festa della Liberazione. Perciò, ogni anno, noi, servi della memoria di quel giorno fatidico per la libertà del nostro Paese, assistiamo al solito carnet di invettive e giustificazioni scagliate ovviamente da destra. Dopo un fumoso editoriale di Alessandro Sallusti su Il Giornale il 5 Aprile scorso (scritto in pieno anticipo forse per avvantaggiarsi o per togliersi subito il pensiero), oggi è il turno di Libero. Sfortunatamente, Vittorio Feltri, ancora affaccendato con le polemiche (o
con i postumi) dovuti alle sparate dei giorni scorsi, non ci ha (ancora) deliziato della sua penna e, nel tentativo di depistarci con un pacato editoriale su Eugenio Scalfari, ha pensato di scatenare – si fa per dire – in prima linea un’idra sostitutiva a tre alte (o alticce) teste, composta da un freudiano Iuri Maria Prado (“Liberazione, un bidone pieno di nulla”), un trenodico Gianluca Veneziani (“Compagni più uguali degli altri”) e un malinconico Francesco Carella (“Contro i falsi miti”). Ecco qualche perla che ci convincerà a ritenere che sia meglio togliere il vino non solo al Direttore (come
ha suggerito Marco Travaglio), ma proprio a tutti!
1) Legilimens: “Gli italiani non si sono mai riconosciuti nelle celebrazioni del 25 Aprile. Non hanno mai considerato ‘propria’ quella festa, non l’hanno mai vista né vissuta come occasione di genuino ritrovo civile e comunitario”. Prodigioso! A quando la prossima seduta, Dottore?
2) Da ‘historia magistra vitae’ a ‘historia fallax mulier vitae’: “Gli italiani non si sono mai
veramente riconosciuti nelle celebrazioni del 25 Aprile perché, magari anche solo oscuramente, hanno sempre avuto sensazione del carattere contraffattorio della storia”. Come non figurarsi la Sig.ra Storia a mo’ di un Totò (in “Totò truffa 62”) che vende agli italiani la Fontana di Trevi spacciandocela come trofeo della Liberazione?
3) “Cioè, si sta ribaltando la situazione!” direbbe Giovanni (di Aldo, Giovanni e Giacomo): “Così come gli italiani, in profundo, hanno sempre saputo di non aver perduto la libertà in una parentesi di regime imposto dalla violenza di sparute minoranze”. Ma sì, una piccola parentesi di 20 anni (anno più anno meno) fra deportazioni, omicidi, incarcerazioni, leggi razziali. Ma il mantra è celebre, si sa: “ha fatto anche cose buone…”.
4) Nostalgia canaglia: “Perché gli italiani sentono profondamente e, si ripete, magari anche solo vagamente, magari anche senza averne conto esatto, magari anche senza ‘capirlo’ [ndr. sicuramente qui ci si sta riferendo ai ‘meridionali inferiori’], che l’antifascismo è dopotutto anti-italiano”. Concediamo un punticino: “Mussolini e il fascismo sono l’autobiografia degl’italiani”, diceva l’antifascista Piero Gobetti. Ma, aggiungeva Indro Montanelli (un tardivo “antifascista scettico”, ma di certo non partigiano e/o comunista): “Le autobiografie, dopo averle scritte, bisogna rileggerle e
meditarle. Negarle e rinnegarle, non serve a nulla”. Perciò, loro pensino a non rinnegare, a sminuire o a indorare il fascismo, noi penseremo a ricordare le sue atrocità.
5) L’eleganza e lo stile prima di tutto: “Non si sa da dove usciranno [sc. i partigiani], forse dai sepolcri, visto che sono già quasi tutti i morti”. Ahimè, che aridità: la memoria pare sia diventata mortale. Come mortali sono (erano, purtroppo) tutti quegli anziani delle RSA (magari non tutti ex partigiani ma ognuno portatore della propria preziosa memoria) lasciati morire dall’eccellente sanità lombarda (a gestione Lega e centrodestra dal 1994) cui Libero oggi dedica 3 altisonanti ed elogiative pagine. Quella stessa Lombardia nella quale ci sono state finora oltre 3.000 adesioni alla contro-manifestazione (poco fantasiosamente soprannominata “25 Aprile nero”) alla guida, pare, di Forza Nuova.
6) Un dubbio amletico: “Settantacinque anni non sono stati sufficienti per trasformare il giorno della Liberazione in una festa riconosciuta da tutto il Paese. Del resto, se dopo tre quarti di secolo quella data non è riuscita a diventare un fattore d’identità collettivo, significa che in essa deve esserci qualcosa di profondamente inadeguato”. Mai provato a guardare lo specchio?
7) Vittimismo e tenerezza: “Intanto, ‘la festa della democrazia con tutti gli italiani’ è ancora una volta rimandata”. Quasi scende una lacrima.
Così è, se vi e ci pare: ogni anno pseudo-intellettuali, pseudo-storici e compagnia politica (di destra) cantante ci provano e cercano i loro 15 minuti di “celebrità” facendo leggere e parlare di sé; ogni anno negazionisti e revisionisti pretendono di esprimersi proprio su quella data che permette loro di esprimersi; ogni anno nostalgici fascisti e silenti denigratori della democrazia vorrebbero che si celebrasse la libertà tutti insieme (non comprendendo che è il loro stesso credo ideologico ad escluderli in partenza); ogni anno, il 25 Aprile ci si dovrebbe prostrare unicamente agli Alleati (i partigiani e i russi non esistevano!); ogni anno gli stessi fruitori delle dinamiche derivanti dai principi di libertà e uguaglianza sputano sprezzanti in quel piatto di storia e memoria che ha dovuto riempirsi di lacrime e sangue per divincolarsi dal giogo della dittatura; ogni anno la graduale scomparsa di testimoni partigiani (allora “gli assassini infami di ieri e gli infami assassini di oggi” esistono!) viene pateticamente accolta con gioia e sollievo. Eppure ogni anno, costoro, con la loro campagna anti-Liberazione, non fanno altro che dimostrare quanto – specifichiamolo in memoria della Marcia – “je rode”. E, come da tradizione, suscitano un gran sorriso.
Il 25 Aprile è divisivo perché ricorda la battaglia a due tra Libertà e l’Oppressione nazifascista e celebra la vittoria della prima sulla seconda. Inutile ed ingenuo lamentarsi della mancanza di unità, fintantoché esisterà chi sostiene l’Oppressione. Ciononostante, rimanendo orgogliosi di dividerci da coloro che anacronisticamente sostengono quella parte, questo Sabato brinderemo dai balconi (quelli dai quali secondo qualche assessore leghista di Monfalcone dovremmo buttarci giù) anche a loro, liberi (volenti o nolenti) come noi da 75 anni. Peccato, chissà quanto vino rosso (meglio dire nero) avrebbero portato.