(Giuseppe Di Maio) – Non c’è che dire, si sapeva da prima: la permanenza nelle istituzioni appanna il senso comune. Ecco perché due mandati sono più che sufficienti. Ma a qualcuno ne basta anche uno solo. Non parliamo di chi non riesce manco a debuttare che già gronda dubbi sulla democraticità, sulle politiche, sui diritti costituzionali del parlamentare. Dopo essere diventati famosi per aver tradito il Movimento, piano piano prendono la via del Gruppo Misto, o di Renzi Matteo o di Salvini Matteo o di Berlusconi Silvio che assicurano di pagare bene, i traditori.
Se alla seconda legislatura capisci che non ce ne sarà una terza, allora ti viene spontaneo di non restituire il denaro che avevi promesso ai cittadini. Il M5S non cambia idea sul terzo mandato? Scende ingloriosamente nei sondaggi? Ecco due buone ragioni per tenersi tutti i soldi. Ieri anche Giarrusso e Acunzo sono stati espulsi. Ed è del tutto inutile rivangare ciò che a Tizio e Caio non gli stava bene, la ragione vera è che non restituivano più i piccioli!
Questo succede tutte le volte che uno fa politica per risolvere i propri problemi economici. Dopo lo strappo, quando ormai i fuggitivi sono alloggiati comodamente nei banchi dei nemici, per non essere del tutto squalificati dalla loro comunità d’appartenenza, si fanno un partito di fedeli che per un certo tempo protegge le loro fesserie. Erano 27, poi ancora due, e altri quattro si apprestano ad uscire. Ma disgraziatamente non sono i soli, i traditori sono cento altri. E si associano agli incalzanti ricorsi dei 1400 ex deputati e agli incombenti giudizi delle Alte Corti, che considerano l’equità di trattamento pensionistico un disincentivo dell’attività parlamentare.
Ieri si è riunito il Consiglio giurisdizionale di Montecitorio, che ha un solo membro del M5S, la reggiana Stefania Ascari. Assieme al presidente del PD, e a un membro della Lega hanno deliberato all’unanimità – come si legge nel dispositivo – che il Collegio dei Deputati Questori e l’Ufficio di Presidenza della Camera potranno “valutare ai fini dell’applicazione delle misure incrementali singole e specifiche situazioni individuali per le quali, per effetto della rideterminazione del trattamento, si sia determinata una grave e documentata compromissione delle condizioni di vita personale o familiare”. Così sta scritto.
Cioè, se la vita “personale e familiare” di un ex deputato subisce drastici mutamenti dopo la rideterminazione del vitalizio, allora secondo il Consiglio giurisdizionale avrebbe diritto ad un’integrazione? Ma non me ne frega niente se questo giudizio sia vincolante o no, se sia un precedente logico o una battuta di spirito. La permanenza nelle istituzioni è dannosa per il senso comune. Per il senso di giustizia! Non c’è un solo cittadino che per sopraggiunti guai economici venga soccorso dallo Stato quando non può più avere il suo vecchio tenore di vita. Fatta salva qualche ricca coniuge dopo altrettanto ricche separazioni, ma non a carico della collettività.
Allora anche il Parlamento è uno sposo da cui non si divorzia mai? E il deputato è come il prete: sacerdos in aeternum? Ma non a spese nostre! E pensare che anche il probo Crimi parla di soluzione di buon senso, e Fico approva in alcuni casi la riduzione del taglio. Allora miei cari portavoce che sedete in quei banchi con preciso mandato popolare: non vorrete essere così ingiusti e trattare “chi da figli e chi da figliastri”. Ci sono una miriade di pensioni minime che rendono la vita dei loro titolari un vero inferno. Perché non stabiliamo subito un limite minimo che sia equiparato a quello dei vostri deputati? O forse pensate che all’inferno certuni siano abituati?
“Il potere logora chi non ce l’ha.”
Chi ce l’ha, invece, impara presto a sfruttarlo prima di tutto a proprio vantaggio.
Dibba! Dove sei?
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