(Andrea Giannotti) – Se Norberto Bobbio fosse ancora vivo, ieri avrebbe ammirato il perfetto esempio de “le virtù guerriere, eroiche, del coraggio e dell’ardimento contro le virtù considerate spregiativamente mercantili della prudenza, della ragione calcolatrice, della paziente ricerca della mediazione necessarie nei rapporti di mercato e in quel più ampio mercato di opinioni, d’idee, di interessi in conflitto che costituisce l’essenza della democrazia, cui è necessaria la pratica del compromesso” (20145 [1994], 26-27). La giornata ha infatti visto quello che sembrava uno stanco Giuseppe Conte presentarsi prima al Senato e poi alla Camera per esporre un’informativa circa la situazione nazionale. A lui si è contrapposta (fra i tanti) la guerriera “patriota” Giorgia Meloni, il cui
riconoscibile stile si è decisamente distanziato dall’erudita (quasi stucchevole) pomposità di Bagnai e dalla (sorprendente) compostezza di Molinari. Il timbro urlato è stato il minimo comune denominatore dell’intervento.

Il primo punto è valido (“il Consiglio Europeo di Giovedì è un momento di portata storica”), ma non lo è la richiesta sul mandato parlamentare: davvero, in periodo di emergenza nazionale, si vogliono perdere (ad essere ottimisti) settimane per discutere le centinaia di emendamenti che l’opposizione (legittimamente) apporterebbe, passando per infinite votazioni? Si potrebbe rispondere: “è la democrazia!”. Sì, ma a sostenerlo sarebbe chi ha plaudito ai pieni poteri di Orban (che davvero esautorano il Parlamento) e ripete incessantemente su social e tv che “gli italiani vogliono ripartire subito”.

Accusare la maggioranza di “enorme contraddizioni”, litigiosità e debolezza evidenzia il vero, ma è anche un trascurare la parallela diaspora dei voti europei di Lega, FDI e FI, che Giovedì 16 hanno votato ognuno diversamente dall’altro su MES, Eurobond e Recovery Fund. Ecco, la partita di Giovedì 23 sarebbe stata forse (seppur lievissimamente) più agevolata se Lega e FI non avessero votato contro gli Eurobond.

Altro punto è il crimine di aver creato task forces per fronteggiare l’emergenza. Eppure moltissimi paesi hanno agito similmente (come Francia, USA, Svezia). Borrelli stesso e le squadre di medici messe in campo dalla Protezione Civile sono un esempio virtuoso di task force. Poi c’è Bertolaso e l’Ospedale Fiera di Milano, su cui stendiamo un velo pietoso.

Sui social la Meloni (oltre ad aizzare le folle) prova ad infondere, comprensibilmente, speranza e solidarietà nei cittadini (anche tramite un cinematografico “non può piovere per sempre”), poi però nell’intervento stanga il morale evocando termini apocalittici quali “baratro”, “desertificazione economico-produttiva”, “ecatombe occupazionale inimmaginabile”.

La chiosa è un’arma a doppio taglio: si accusano (per quanto giustamente) le “sanguisughe” olandesi ed il loro “paradiso fiscale che drena risorse a tutti i paesi membri” e non ci si accorge che in Europa FDI è alleata proprio del “Forum per la democrazia” di Thierry Baudet che insieme ad Austria, Danimarca, Finlandia e Germania sta mettendo i bastoni fra le ruote.

Prevedibile la stanchezza (o rassegnazione) di Conte di fronte alle grida dell’opposizione, ma forse si è trattata di quella “massima cautela” da mercante (lui sì, in tempesta) consapevole di essere all’indomani di una importante trattativa, la quale richiede più composta ragionevolezza che impetuoso istinto. Una cosa è certa. Conte scontenta sempre l’opposizione: quando attacca, dovrebbe pensare ad informare; quando informa (o “fa le lezioni in tv”), dovrebbe pensare ad attaccare (l’UE). È indubbio che l’Europa vada riformata, che l’Italia debba farsi valere e che debba essere accontentata (in questo la Meloni ha ragione). Ma il messaggio è chiaro: “il contributo di
un’opposizione responsabile troverà sempre apertura e considerazione”. E se non c’è responsabilità (quella che invece si intravede nelle opposizioni estere), non ci può essere collaborazione. La durezza delle opposizioni è preziosa, la violenza problematica “che scatena l’inferno” meno.