(Fulvio Abbate – ilriformista.it) – Gli anziani, meglio, i “vecchi”, così come appaiono, sia pure edulcorati nella retorica, metti, ora delle canzoni di Renato Zero ora del film di Marco Ferreri La casa del sorriso, nel sentire comune ufficiale, certificato implicitamente da ciò che dovrebbero essere gli organismi preposti al governo, alla cura sanitaria e alle stesse protezioni civili, ed è questo un crimine, sono percepiti e indicati come “razza” a se stante, quasi trattando di loro stessimo ragionando di zebre o dei licaoni.
Assenti al nostro sguardo, se non nel privato degli affetti, segregati nelle case di riposo, meglio, negli ospizi talvolta immondi, se ne pronuncia la persistenza nell’universo dei viventi come fossero scarti, eccedenze umane, individui assenti all’anagrafe delle rispettive singole identità, vecchi, timbrati, marchiati come tali, quasi come nei lager nazisti un tempo. Quasi che il passato che, come per tutti, li ha visti dapprima bambini, poi adolescenti, giovani e infine adulti, persone presenti nel mondo del lavoro, della produzione e nell’acquisto delle merci, ossia consumatori già blanditi dapprima da Carosello” poi dagli spot, non fosse mai né esistito né ormai più conti.
Idealmente strappate dai cassetti delle loro case per finire in mano ai rigattieri, agli “svuota cantine”, le loro foto dal bordo frastagliato da piccini e poi del matrimonio, le pose in divisa al servizio militare, e ancora gli scatti dei figli e dei nipoti già a colori, poco importa se kodacrome o polaroid, incorniciate o tenute lì in casa, tra soggiorno e camera da letto. La signora Ida Serrani, anni addietro mia vicina di casa, nella sua casa a pianterreno del quartiere Miani di Roma, sarta, poetessa, oltre a narrarmi di suo papà “repubblicano mazziniano”, che non l’aveva mandata a scuola così da risparmiarle l’insulto dell’uniforme da “piccola italiana” nei giorni del fascismo, custodiva accanto al comodino le foto dei suoi cari, c’erano i genitori, ma anche le amiche vicine di casa, mi diceva: «… questa è la foto della signora Ricciardi, tanto brava. Il figlio, Salvatore, stava nelle Brigate Rosse, ma garbato pure lui». La signora Serrani è stata per me il corrispettivo del “pensionato” di Guccini, raccontava pure del marito che lavorava al Drive In di Roma, quando questo ancora esisteva.
Ai vecchi sembra negato di appartenere all’anagrafe dell’umano, come fossero ingombri, pesi, pesi morti: un assassinio culturale che la pandemia in atto ha mostrato in modo sempre più evidente e appunto criminale. Nel migliore dei casi, su di loro si fa ironia, nominando un’ipotetica “Villa Arzilla”, o li si mostra come bontemponi, pronti a importunare, da pensionati, gli uomini in arancione fosforescente dell’Anas, o d’ogni altra impresa, al lavoro con gli scavi stradali, le donne come tante Tina Pica, i maschi invece simili ai caratteristi abilitati a recitare la stessa parte con il cinismo che si riverbera nella barzelletta che così termina: «… mica dovranno sparargli perché si decida a morire?».
Non ho certezze e neppure opinioni su ciò che sarà, reputo tuttavia irresponsabile immaginare che tutto ricominci come prima. I poveri vecchi potranno mai utilizzare i mezzi pubblici se è vero che si tratti di bacillari in atto? Chi ne curerà l’igiene in modo radicale? E lo stesso avverrà con i taxi. Esiste il know-how che renda possibile proteggere innanzitutto le creature più vulnerabili del genere umano cittadino e non, gli anziani? Non ho opinioni su ciò che sarà, trovo però, e lo ribadisco fino allo stremo, che il dato più scandaloso, delittuoso e infame dell’intera questione covid-19 (che mai definirei “guerra” e neppure parlerei di “eroi” trattando di infermieri e medici lasciati spesso senza protezioni certe né presidi) la cosa più criminale che ravviso è appunto il modo in cui i vecchi sono stati condannati a morte anticipatamente, ignorando scientemente che gli anziani siamo tutti noi, in potenza o in atto. Poveri vecchi, costretti a guardarsi le spalle dal nostro cinismo e dalla nostra indifferente malvagità su carta intestata pubblica.
In assenza dell’antico “proletariato”, certi giorni auspico che a sollevare la bandiera della rivolta siano proprio loro, i vecchi, li immagino malfermi sulle gambe o perfino con un deambulatore o su sedia rotelle, eppure conto che da tutti loro, una volta organizzati, possa arrivare una nuova scintilla rivoluzionaria. Così come Pasolini immaginava gli “Alì dagli occhi azzurri” pronti a raggiungerci per «deporre il germe della storia antica» e «poi col Papa e ogni sacramento su come zingari con le bandiere rosse di Trotzky al vento…», io vedo i vecchi. Salvando se stessi, salveranno anche noi e il senso della dignità umana, vedo in loro una futura umanità.
Non si comprende, e io sono fra questi, come una società che si dice civile, rifiuti la sua storia vivente, in nome di un cieco e assurdo progresso che si è ingrossato aumentando via via la scala di mercato aprendo le porte a nuove ricchezze e a nuove leve da lavoro. Forse manca l’idea del divenire storico imprescendibilmente connesso al divenire umano e se noi oggi insegniamo ai giovani a ghettizzazione gli anziani, sarà quello il trattamento che sarà riservato anche a noi che stiamo per divenire vecchi. Ecco l’unico elemento, ma fondamentale, che si palesa dalle parole a volte guerrigliere a volte reprobe è il rapporto fra utopia e senso della misura.
Coloro che si sono spesi per un ‘utopia o un miraggio utopico, forse pilotato, hanno radicalmente perso il senso della misura, divenendo anche degli assassini. Coloro che hanno mantenuto la virgo della misura si sono dovuti adattare e spegnere il bacillo dell’ utopia che vuol dire anche off al mondo dei sogni e delle idee. Tanti sono i vari aneddoti che si collegano ad una siffatta descrizione. Concludo che gli anziani sono forse i primi ad insegnare a guardare il mondo con compassione e pietà per gli errori commessi in proprio e dagli altri, e la pietà che suscitano dovrebbe essere l’humus per la tempra delle giuste misure, per non lasciar morire ne i sogni ne i buoni semi che rafforzano il senso di civiltà di una comunità. La pietà degli anziani ammonisce che oltre una soglie di età resterà solo il ricordo della stessa vita, forse quello che non si vuole più vedere.
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