Per le nuove Regioni il danno e la beffa

(CHIARA SARACENO – lastampa.it) – Non solo secessione dei ricchi. L’autonomia differenziata così come configurata dalla legge appena approvata in Parlamento comporta anche la possibilità che le regioni più ricche e meglio dotate di infrastrutture – linee ferroviarie, aeroporti, autostrade – costruite con il denaro di tutta la collettività si approprino totalmente dei benefici che ne derivano, restituendo poco o nulla al resto del paese.

Si tratta di infrastrutture che, purtroppo, non rientrano in alcun Lep (livello essenziale delle prestazioni), quindi possono essere oggetto di passaggio immediato alle regioni che ne faranno richiesta, provocano, oltre al danno di una diminuzione di risorse per le regioni peggio dotate, anche la beffa di una vera e propria appropriazione indebita da parte delle regioni più ricche.

Anche dove i Lep ci sono già, come in sanità, si accentua il rischio che parte dei ridotti finanziamenti che arriveranno alle regioni più povere dovranno essere utilizzati, come già succede, per finanziare i pendolari della sanità, che ancora più di prima si recheranno nelle regioni meglio dotate per ricevere le cure non disponibili nella loro regione, attuando una redistribuzione alla rovescia. In generale, il riferimento allo “storico” delle dotazioni e della spesa non promette nulla di buono per la riduzione delle diseguaglianze territoriali.

In un contesto economico segnato da un enorme debito pubblico che lascia poco spazio per aumentare la spesa, e con un governo che, per rafforzare la propria base elettorale, pensa di ridurre le tasse, è molto difficile che i Lep, se mai si riuscirà a definirli, andranno al di là di un minimo che in troppe zone del paese è davvero ai limiti della decenza e dell’equità. Al contrario, la riduzione della solidarietà intra-nazionale che pure sarebbe richiesta dalla Costituzione, unita alla possibilità che le regioni “diversamente autonome” possano pagare di più insegnanti, medici, infermieri, impiegati nella pubblica amministrazione, creando un mercato concorrenziale del personale, allargherà fatalmente le diseguaglianze esistenti nella disponibilità e qualità di beni e servizi pubblici. Queste non sono dovute, o solo in parte, come vuole invece la narrazione dominante, all’incapacità delle classi dirigenti locali, ma alla minore ricchezza collettiva solo parzialmente compensata dalla redistribuzione statale fin qui operata.

La cristallizzazione, se non l’allargamento, delle diseguaglianze territoriali è in contrasto non solo con il principio di una cittadinanza comune a prescindere da dove si vive, ma anche con uno dei requisiti per l’ottenimento dei fondi del Pnrr, appunto la riduzione dei divari territoriali nelle infrastrutture e nella disponibilità di beni pubblici. Una questione non marginale che sarebbe opportuno sollevare nelle sedi appropriate Le diseguaglianze territoriali non sono responsabilità di questo governo. E la possibilità di un’autonomia così ampia da includere sia elementi fondativi per la cittadinanza, come la tutela della salute e l’istruzione, ma anche la sicurezza sul lavoro, sia settori che non possono essere compressi a scala regionale (trasporti, tutela dell’ambiente, politiche energetiche) è stata introdotta, in modo poco lungimirante e un po’ raffazzonato, dalla riforma del titolo V della Costituzione.

Ma il modo con cui si dà attuazione a quest’ultima, e il pressoché nessun potere che il Parlamento ha nel deciderne gli sviluppi e monitorane gli esiti – tutti lasciati a commissioni e a negoziazioni tra governo e singole regioni – ne costituisce una interpretazione estrema che rischia di minare ulteriormente la già fragile cittadinanza comune. Rischia anche di svuotare di senso il premierato fortemente voluto da Giorgia Meloni, che si troverà ad essere forte rispetto non solo a un Parlamento svuotato di competenze e responsabilità, ma a regioni legittimate ad andare ciascuna per la propria strada senza curarsi del governo centrale. Al premier forte toccherà la responsabilità di fare fronte ai bisogni e alle richieste delle regioni più povere, che non hanno interesse per se stesse all’autonomia differenziata, ma patiranno le conseguenze di quella altrui.