(Gioacchino Musumeci) – Con sgomento leggo della tragedia costata la vita di Satnam Singh, 31enne. abbandonato per strada dal figlio del proprietario dell’azienda in cui lavorava a nero, dopo un incidente a lavoro in cui un macchinario gli ha letteralmente strappato un braccio.

Scrivo inorridito per il cinismo disumano con cui il povero indiano è stato abbandonato per strada, col braccio staccato e deposto in una cassetta. Siamo all’apotesosi dell’atrocità: Singh abbandonato per strada perché il datore di lavoro, qualora lo avesse accompagnato al pronto soccorso più vicino, avrebbe dovuto rispondere delle cause dell’incidente e perché perdere tempo perché mai pensare che la faccenda si sarebbe conclusa nel nulla…Il contesto degli eventi è folle ma si innesta perfettamente nell’Italia impazzita di oggi.

Ancora sono inorridito per le dichiarazioni di Renzo Lovato, proprietario dell’azienda in cui Singh ha avuto l’incidente. Secondo quest’uomo l’operario ” ha commesso una leggerezza costata cara a tutti”. Non solo Lovato sottopagava a nero Singh, ma lo accusa di aver commesso una leggerezza come se averlo buttato per strada con un braccio staccato non sia una fora di potenziale assassinio.

A quest’uomo folle non passa per la testa che Singh non fosse un rifiuto di cui liberarsi. Non c’è alcuna coscienza né decenza in un padre che trascura il comportamento disumano del figlio. Se siamo a questo punto provare vergogna è un obbligo morale di tutti.

Ma eccola qui la retorica terapeutica del paese progredito, in cui tutto va bene, la soluzione per cittadini umanamente sconcertanti, refrattari, divisi, imbufaliti o indifferenti, genericamente odiosi e crogiolati nelle bugie.

Nello scenario mediatico di perfezione inventata, leggo di un bracciante sottopagato e assunto a nero, trattato come immondizia esausta da scaricare al più presto possibile, e senza alcun rimorso, anzi la vittima è perfino colpevole di “leggerezze costate care”. Nelle parole di Lovato c’è tutta l’ignoranza e la disumanità indotte dal fallimento istituzionale protratto in anni di mala gestione della cosa pubblica e privata.

Ho il dovere di dirlo: la nostra intera classe politica è genericamente colpevole perché le condizioni dei lavoratori a nero nelle aziende agricole italiane, lo sfruttamento di extracomunitari, caporalato e ricatti per i permessi di soggiorno perfino nelle sedi di Fincantieri – a cui è seguito una scandalo insabbiato – sono fatti notissimi a tutti coloro che si sono avvicendati nei palazzi. Nessuno oggi può dire di avere mani pulite.

Tra coloro che hanno ignorato ieri le condizioni di schiavitù a cui sono sottoposti esseri umani immigrati nella speranza di trovare accoglienza in una democrazia progredita, e coloro che oggi non vogliono disturbare chi produce ricchezza e considerano concessioni i diritti costituzionali; e infine i cittadini incapaci di criticare le pecche dei loro santoni beatificati in un cimitero di morti a lavoro, il mio primo istinto è rabbia: vorrei scatenare un nuovo diluvio universale perché ci siamo adattati a ogni forma di ingiustizia. Dunque il nostro destino non è troppo diverso da quello di Singh. Che dovremmo meritare se non siamo disposti a combattere per tutelare la vita se non nella sua forma di embrione italiano. Ma può servire annotarlo?

E che schifo la retorica “post mortem” tacere sarebbe più degno se l’immobilismo politico condanna esseri umani a trattamenti inenarrabili. Tra chi si occupa di diritti civili a chiacchiere e chi vuole abolirli l’Italia ritrae tristemente la civiltà occidentale, sempre più simile a un carnefice di innocenti. Potrei definire altrimenti società in cui ancora oggi è ammessa la schiavitù?

In foto il signor Renzo Lovato, una brava persona come tante: con la schiavitù produce ricchezza, non disturbiamolo.