Dietro i lustrini del summit, la pochezza delle decisioni, e un mondo ostile, impoverito e non rappresentato. Biden immobile, spaesato, ricorda il Breznev mummificato sulla Piazza Rossa, simbolo dell’Urss morente

G7, la leadership paralizzata dell’Occidente davanti a guerre e crisi che avanzano

(DOMENICO QUIRICO – lastampa.it) – I Grandi, i Sette Grandi della terra! Se sovrapponiamo la enfatica definizione ai connotati invadenti dei protagonisti di Puglia tra uliveti, trulli e castelli avvertiamo subito, con un senso di imbarazzo, che la parola si disfa, come se qualcosa di molle e limaccioso vi si fosse infilato dentro. Altre parole, purtroppo, non solo resistono, ma si levano splendenti e terribili senza perdere nemmeno un millimetro della loro forza di verità, lapidi ed editti che rendono il nostro tempo così duro, vitreo e terribile. E queste parole sono guerra massacri miseria e miserie, separazioni e odio.

Li contempliamo, attoniti, i Sette, per un attimo allineati nella foto ricordo, come se aprissimo l’anta di un frigidaire. Facciamo scorrere i volti. Poi richiudiamo l’anta e speriamo di toglierci dalla coscienza un filmato di repertorio, innocuo e sorpassato, su cui sarebbe ora di mettere un buon pizzico di naftalina. Invano.

Sono questi i Grandi della terra? Sono loro a cui affidiamo il compito di fermare il precipizio più cupo e terribile? Una Santa Alleanza di mediocri sopravvissuti dell’Ancien Régime? Quali speranze si possono ritrovare nei cascami cinerei puntigliosi irritati e minaccianti dei loro discorsi, negli affannosi e asfittici sunti di due giorni di “lavori’’, in cui si sguazza tra chiacchiere a vantaggio di politica interna, sorrisi fasulli e menu stellari, per nascondere la digestione del niente? Questi ubriachi del Libero Mercato, apostoli della santità della Concorrenza ma per utile già diventati beccai infuriati del protezionismo… Se i Grandi sono costoro ti vien voglia di sgolare l’orazione rivoluzionaria.

Prendiamo il più Grande di tutti, l’americano Biden. “La roccia del mondo libero” come si aggettivava nella Prima guerra fredda, riutilizzabile anche per la Seconda e più pericolosa glaciazione, è davvero questo Breznev capitalistico? Geroglifici rivelatori provvidenzialmente nascosti dietro gli occhiali scuri, in lotta con le fosche Erinni trumpiane, deambula fragile e smarrito; un fantasma per cui non si può che provare un moto di istintiva e fraterna pietà. Ti allarmi rammentando che dietro di lui sfilano settecento basi militari, portaerei e bombardieri, ordigni atomici di pronto uso, digrigni bellici di ogni dimensione e tipo. Che la famosa valigetta dell’Apocalisse viaggia sempre al suo incerto fianco…

E si rischia la guerra mondiale perché un prepotente, Putin, vuole essere riammesso proprio al sinedrio di questi Grandi fantasmi, non come utile collaboratore ma come protagonista che può fare la voce grossa!

Spengler ha impiegato centinaia di pagine per raccontare, forse un po’ in anticipo, il tramonto dell’Occidente. Se fosse stato a Borgo Egnazia in questi giorni gli sarebbe stata sufficiente una frase per fissare la ennesima fine dei pusilli e dei pitocchi dell’ultimo impero. Guardavamo, nel Novecento, il corpo e la maschera di Leonid Breznev esposti come un oggetto inerte sulla balaustra della piazza Rossa. Ti veniva voglia di metter la mano nella redingote per sentire se il cuore batteva regolarmente. Capivamo che l’Unione sovietica, “il presidio della rivoluzione mondiale”, era già un cadavere in attesa della constatazione burocratica di morte.

Ma quello era un sistema autoritario, difendeva sé stesso negando perfino la realtà, cercando di illudere che un mausoleo fosse vita e la agonia un raffreddore. Il caso di Biden, della democrazia americana a cui è riuscita la magia di convincerci che è la eterna giovinezza del mondo, è la vitalità scientifica sociale politica, è diverso. Se l’America pretende di dettare la linea, di scegliere i buoni e i cattivi, ha il dovere di restare fedele al mito tutto in stampatello. Non può imporre antropologicamente la realtà del suo progressivo e rapido indebolimento. Le potenze che si accorgono di invecchiare, di avere avversari più feroci e determinati, sono pericolosissime, perché sono indotte a commettere errori per cercare di smentire la realtà, di giocare bluff insensati trascinandovi dentro anche gli altri. Chi suggerisce a questo uomo smarrito, incatenato, non so se per ambizione senile o per scelta di altri, alla ardua recitazione del Potere, le decisioni da prendere? Chi firma in nome suo impegni bellici che dureranno dieci anni eternizzando scelte che potrebbero risultare sbagliate o azzardate?

E gli altri? Se non fossero registrati nella foto apula sarebbero per tutti una x, dei signor nessuno, bottegai di provincia ammessi per cortesia al Rotary. Ex potenze irrancidite scese nella cripta dei secoli che suonano la campana a stormo della guerra obbligatoria per non constatare la irrimediabile irrilevanza. Un cancelliere che ha raccolto meno voti di un partito di nostalgici nazisti e un “monsieur le président” a cui solo i provvidenziali meccanismi della monarchia inventata dal Generale consentono di far finta di niente di fronte alle sconfitte elettorali. Impegnatissimi a cercare di nullificare i segnali arrivati dalle urne sciaguratamente indotte a malumori estremisti proprio dalle loro bugie e insufficienze. E poi c’è l’Italia, Grande davvero ma nei debiti, e addendi del potere americano come il Canada e il Giappone.

L’adesso, il qui, il qui storico , questi e non altri, i giorni dati a noi che li viviamo nella prospettiva di terribili precipizi: ovvero due giorni infarciti di “svolte storiche”, che sarebbero una guerra che continuerà con i soldi degli altri dopo esser stata fatta con i morti degli altri (e il vero cruccio erano i soldi da spendere non i cadaveri che non si contano nemmeno); e le solite mercificazioni dell’Africa che si cerca penosamente di nobilitare con i finti colori dello “sviluppo”, astratto almeno quanto concreta e laida è la mercificazione a nostro vantaggio. Non abbiamo, noi, per ora cupe frontiere, non abbiamo, noi, per ora gli affronti atroci delle prigioni. Ma possiamo accontentarci di questo non esistere, di queste provvisorie assenze? E a Borgo Egnazia i milioni di umili, di sconosciuti itinerari di sofferenza, di pene, di strazio e di agonia che appartengono all’addizione dei nostri peccati e colpe appunto di Grandi, di cui formano il precipizio più cupo e terribile, chi li ha rappresentati? Questa è la domanda.