Si deve riuscire a coinvolgere gli italiani che vivono in borghi e campagne

Morano calabro

(di Michele Serra – repubblica.it) – Dimmi quanti abitanti ha la città dove vivi e ti dirò chi vincerà le elezioni, nella tua città. Detta così è solo una battuta, ma con i debiti contrappesi e gli opportuni distinguo, luogo per luogo, diventa quasi uno strumento di analisi. Grandi città italiane a netta prevalenza progressista, medi e piccoli centri a schiacciante maggioranza di centrodestra. È la realtà delle cose. Il voto di domenica, amministrative in primo luogo, ha non solo confermato ma rafforzato una specie di bipolarismo tra “luoghi grandi” e “luoghi piccoli” che taglia a fette trasversali perfino la vecchia divisione geografica Nord/Sud. Bari vota come Milano, le valli prealpine come la provincia laziale. Siamo dentro il secolare dualismo città/campagna, e viene voglia di ripassare i memorabili scontri politico-letterari novecenteschi tra Strapaese e Stracittà, con Bontempelli e Malaparte, fondatori della corrente stracittadina, cosmopolita e modernista, presto soccombenti. (Alla censura fascista non poteva sfuggire la pubblicazione di articoli in francese, per giunta sul dadaismo e il surrealismo, correnti dell’arte “degenerata”). La loro rivista, Novecento, chiuse i battenti dopo soli tre anni. Con il fascismo stravinse l’Italia strapaesana, e un poco si sente ancora oggi…Tutto è cambiato, ovviamente, né le categorie novecentesche possono servire a leggere il presente. Ma non c’è dubbio che qualunque forza progressista, europeista, anti-sovranista, non solamente in Italia, deve ragionare seriamente su questa macro differenza, forse prima psicologica che sociale, tra gli europei “di città” e quelli che vivono disseminati in quella dimensione puntiforme, e però tutta insieme immensa, e numericamente prevalente, che definiamo “provincia”. Per avere un’idea di quando prevalente sia, la “piccola Italia”, rispetto all’Italia delle città importanti, quelle dove hanno sede giornali, televisioni, partiti politici, centri studi, università; e di conseguenza per capire la sostanziosa affermazione di Giorgia Meloni e della sua maggioranza alle Europee (vinte dal centrodestra nonostante una forte ripresa del centrosinistra, soprattutto tra i giovani), vale la pena di fare due conti.

Le città che contano più di 150mila abitanti, in Italia, sono solo 25. In ordine decrescente: Roma, Milano, Napoli, Torino, Palermo, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Catania, Verona, Venezia, Messina, Padova, Trieste, Brescia, Parma, Prato, Taranto, Modena, Reggio Emilia, Reggio Calabria, Perugia, Ravenna, Livorno. Di queste 25 città “grandi”, 19 sono amministrate dal centrosinistra. Volendo definire “condizione metropolitana” – approssimazione per eccesso – quella in cui si vive nelle 25 città italiane sopraddette, conta sapere che il totale dei loro abitanti è di poco inferiore ai dodici milioni. E questo significa che solo un quinto dei nostri connazionali vive in città “grandi”. I quattro quinti degli italiani (l’ottanta per cento!) vivono, lavorano, pensano e votano in centri di media, piccola e piccolissima grandezza. In termini politici, significa che vincere a Milano, a Bologna, a Bari, a Brescia, per quanto simbolicamente importante, non basta a vincere in Italia (idem in Europa: Parigi non è la Francia, Berlino non è la Germania).

La sconfinata fanteria elettorale delle destre nazionaliste non abita in città. Trump, a New York, elettoralmente conta quanto Salvini a Milano: praticamente zero. E Brexit, quanto a sconfitta politica delle città per mano delle campagne, dice tutto.

Le ragioni di questa rilevante differenza politica sono tante e profonde, molto studiate – non abbastanza dai partiti, evidentemente – e molto discusse. Una pubblicistica ormai esorbitante, così esorbitante che qualche solida ragione deve averla, sostiene, ormai da molti anni, che l’impatto della globalizzazione, delle migrazioni, dei cambiamenti dei costumi e degli assetti sociali e familiari, delle abitudini lavorative, della rivoluzione tecnologica, degli orari, dell’alimentazione, insomma di tutto, è meglio assorbito nei grandi centri. Ci si sente a cavallo della tigre, nelle metropoli, meno spiazzati e meno esclusi. Si ha una percezione più dinamica e meno pessimista del cambiamento: tanto da restituire un senso al termine, tutto sommato vecchiotto, “progressista”. Sì, la storia procede, il mondo progredisce. E il mutamento non spaventa perché si ha l’impressione di viverlo dall’interno, non di subirlo.

Fuori dalle metropoli prevarrebbe, invece, la sensazione di essere stati esclusi, di essere rimasti indietro. Il cambiamento viene vissuto come caos, come confusione stordente e nociva, come inversione di una normalità rassicurante, come sovversione di tradizioni solide e ora insidiate da comportamenti stravaganti (sarebbe interessante, a proposito, sapere da dove viene, seggio per seggio, la marea di preferenze per Vannacci). La popolazione, nei piccoli centri, è decisamente più anziana. I giovani, si sa, vanno a studiare e a lavorare in città, a costo di doversi stringere in quattro in 50 metri quadrati, con gli affitti che corrono…Un buon centro di studi politici, su mandato di un buon partito politico, dovrebbe aprire un dossier importante e ambizioso su questi temi. Studiare, capire, immaginare soluzioni. Alle misure ovvie (i trasporti, le scuole, gli ospedali, gli uffici postali: concentrali nelle città, e perderai la campagna) bisognerebbe aggiungere qualche idea nuova. La banda larga, certo, il lavoro a distanza, certo, e tutto ciò che decentra, e decentrando allarga, e lavora per l’inclusione. Un’idea del territorio non come luoghi singoli ma come rete, come grandi aree connesse e interdipendenti, come superamento della separazione, ancora molto netta (dunque banda larga e smart working non bastano…), tra città e campagna. L’Italia non è un Paese metropolitano, lo dicono i numeri. È un Paese di borghi, di piccole città, di province industriose. Puoi avere le idee più dinamiche, le intenzioni più corrette, i programmi più intelligenti, ma se non riesci a coinvolgere i quattro italiani su cinque che non abitano nelle grandi città, non governerai mai.