NEL MIRINO – I casi si moltiplicano

(DI MARTINA CASTIGLIANI – ilfattoquotidiano.it) – Chi manifesta per il bene pubblico dà fastidio, non solo in Italia. In Europa sono decine i casi di attivisti trascinati in tribunale perché si mettono contro chi ha potere. Contarli è difficile e spesso neanche finiscono sui giornali: CASE, la rete che si batte contro le querele temerarie, nel 2023 ne ha censite 820 solo in Europa (250 in più rispetto all’anno prima). Una battaglia ad armi impari: cittadini soli contro chi ha tempo e soldi da perdere in battaglie legali che mirano a far passare ogni voglia di scendere in piazza. È il caso di Nawojka Ciborska, studentessa polacca di 21 anni che ha indispettito la società polacca Gaz System dopo un articolo su una protesta ambientalista. Il colosso vuole 4.500 euro per danno d’immagine, lei non sa dove trovarli. E la risonanza della manifestazione conta poco, se l’obiettivo è che non succeda più. Lo stanno imparando i cittadini di San Vito in Cadore (Belluno), come scritto da Giuseppe Pietrobelli sul Fatto: dopo essersi battuti contro la variante per Cortina, incompiuta rifinanziata per le Olimpiadi invernali, il commissario del Comune ha chiesto un risarcimento danni da più di 100 mila euro. L’accusa? “Eccesso di ricorsi” e “diffamazione aggravata” dall’aver trovato spazio sui giornali. Un caso che ha pochi precedenti, come quello in Friuli. Qui protagonista è il gruppo Danieli: l’acciaieria che volevano costruire a Porto Nogaro è saltata anche per la petizione da 24 mila firme dei residenti. La società ha chiesto di sapere i nomi e cognomi dei sottoscrittori: la Regione si è opposta, ma è partita la querela contro uno dei promotori. Ambientalisti, animalisti e difensori del territorio finiscono sempre più spesso nel mirino. A fine marzo è toccato a Laura Zorzini di Ribellione Animale: la questura ha chiesto la sorveglianza speciale dopo essere stata filmata mentre faceva scritte con gessetti davanti al municipio di Trieste e a opporsi è stato il tribunale.

In Austria, protestava in difesa degli animali anche l’Associazione VGT che nel 2022 si è vista censurare una campagna contro i supermercati Spar. Sotto accusa sono finiti i manifesti con il logo della catena insanguinato per denunciare le condizioni dei maiali. E sono stati bloccati finché la Corte suprema ha stabilito che è “libertà d’espressione”. Proprio contro i mega-allevamenti di Valle de Odieta si è battuto, in Spagna, Luis Ferreirim di Greenpeace. Dopo le proteste, ha ricevuto dall’azienda una proposta di conciliazione insieme ad altri attivisti: hanno rifiutato e attendono di sapere se arriverà la denuncia. I tempi lunghi aiutano a intimidire. Sette anni sono stati necessari per l’assoluzione di Essere Animali, accusata di diffamazione per una video-denuncia su un allevamento di suini in provincia di Forlì-Cesena. La Forestale ha confermato “lo stato di sofferenza degli animali”, ma il blocco delle immagini c’è stato lo stesso. In Bosnia, le studentesse Sunica Kovaević e Sara Tuševljak non sanno se vinceranno in tribunale: si battono contro la costruzione di centrali idroelettriche sul fiume Kasindolska e la società Buk non ha esitato a citarle in giudizio. In Svizzera, nel mirino c’è la Fondazione Bruno Manser Fond, impegnata per i diritti ambientali in Malesia: da anni subisce le denunce del gruppo Sakto che ha creato un sito ad hoc per screditarla. E addirittura l’Onu ha chiesto al governo svizzero un intervento. Anche protestare online pare un problema. In Kosovo, nel 2020 la società austriaca Kelkos Energy se l’è presa con l’ambientalista Adriatik Gacaferi che contestava il loro l’impatto sulle zone protette: gli ha chiesto 10 mila euro, la rimozione di un post critico e una ritrattazione pubblica. La querela è stata ritirata, ma la minaccia era già passata. Nei guai per un post è finito anche l’attivista che, in Portogallo, ha criticato la figlia dell’ex vicepresidente dell’Angola: ha dissentito sulla scelta di partecipare a un reality show per le nozze (con 200 mila euro di vestito), mentre in patria la gente vive in povertà ed è stato querelato dal politico. La causa si è chiusa con l’assoluzione, ma nove anni dopo.

Ad Andorra, Valeria Mendoza Cortés ha rischiato il carcere per “crimini contro il prestigio delle istituzioni” dopo aver parlato di diritti delle donne violati nel principato davanti alle Nazioni Unite. Per scagionarla ci sono voluti cinque anni. In Alto-Adige la maxi-causa è stata un boomerang: nel 2017 l’assessore provinciale e più di 1300 agricoltori se la sono presa con l’Istituto ambientale di Monaco di Baviera per il manifesto “Tyrol Pesticide”. Non solo è finita con l’assoluzione del referente, ma sono stati anche diffusi i libretti con l’uso massiccio dei pesticidi sequestrati dalla procura. Cambiano i Paesi, ma la modalità d’azione delle querele bavaglio sono simili. L’Ue ha appena approvato una legge che le combatte e il Consiglio d’Europa si è detto “estremamente preoccupato” per “le intimidazioni” contro individui o organizzazioni che “agiscono in difesa del bene pubblico”. Chiedono agli Stati di tutelarli in fretta, nel mentre continuano minacce e repressioni.