Dall’estradizione dei terroristi a quella degli ergastolani fino alla liberazione dei prigionieri, il rientro in Italia di chi è detenuto all’estero è sempre un evento che porta consenso

Se l’Italia perdona il suo figliol prodigo

(FLAVIA PERINA – lastampa.it) – Eccola qui l’Italia del figliol prodigo, un’Italia generosa, evangelica e pre-politica capace di sospendere ogni giudizio sui peccati del passato per allargare le braccia e dire: bentornato, bentornata, uccideremo il vitello grasso e faremo festa prima ancora che tu chieda perdono per i tuoi pasticci.

Oggi è l’Italia di Giorgia Meloni che va personalmente a Pratica di Mare per accogliere l’ergastolano Chico Forti e del ministro Carlo Nordio che esprime «gioia e soddisfazione», ieri era l’Italia di Massimo D’Alema e Oliviero Diliberto che abbracciavano idealmente l’ex terrorista Silvia Baraldini quasi con le stesse parole: «gioia, soddisfazione, orgoglio».

È un’Italia strana, flessibile e non ideologica, un’Italia capace di impegnarsi per i figli border line che ha sparso per il mondo oltre gli slogan del «buttate le chiavi», «se la sono cercata», «peggio per loro». A destra impegna tenaci azioni diplomatiche per riportare in patria Chico, un condannato per omicidio, congelando per l’occasione ogni pulsione manettara e securitaria. Dall’altra parte, ha lottato con la stessa energia per Silvia, una signora che probabilmente disprezzava la sinistra governista, l’irriducibile su cui si interrogava Francesco Guccini: «Mi chiedo se ci sono idee per cui valga restare là in prigione».

L’Italia del figliol prodigo è l’Italia che candida Ilaria Salis per aprirle lo spiraglio dei domiciliari, e ci riesce. L’Italia della campagna per riprendersi Filippo Mosca e Luca Cammalleri, appena condannati in Romania a otto anni per una consegna di stupefacenti che forse non era destinata a loro. È l’Italia che ha combattuto un decennio per rimpatriare i fucilieri di marina Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, i due marò accusati di aver ucciso un pescatore indiano scambiato per pirata, diventati addirittura un tormentone polemico («E allora i marò?»). È l’Italia che ha polemizzato sulle due Simone, Pari e Torretta, sequestrate a Baghdad («oche giulive», disse qualcuno) ma poi si è fatta in quattro per riportarle a Roma. È l’Italia che si è scocciata per la conversione all’Islam di un’altra celebre rapita, Silvia Romano, ma ha sudato per ripigliarsi pure lei.

Come nella parabola, non c’è destra e sinistra che tenga davanti alla trama del figliol prodigo. Certo, la destra ha polemizzato assai per le rose rosse destinate a certi figlioli di sinistra (Armando Cossutta le portò a Baraldini) e dall’altra parte si percepì analogo malumore sui marò. E tuttavia, alla fine, le condotte delle due parti risultano assai simmetriche: il ritorno in patria di un italiano innocente o colpevole che sia, condannato o in attesa di giudizio, amato o disprezzato, rapito o legalmente arrestato oltreconfine, è sempre un evento memorabile, da immortalare ai massimi livelli. Settembre 2004: il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi con Gianni Letta corre a Fiumicino per abbracciare le due Simone. Marzo 2005, ancora Berlusconi e Letta a Ciampino per il mesto rientro della giornalista Giuliana Sgrena, pagato con la vita dell’agente Sismi Nicola Calipari. Marzo 2007: sempre Prodi in aeroporto per lo sbarco dell’inviato Daniele Mastrogiacomo, rapito dai talebani in Afghanistan. Dicembre 2012: i ministri Terzi di Sant’agata e Giampaolo Di Paola (governo Monti) solennizzano il rientro in «licenza temporanea» di Latorre e Girone. Gennaio 2015: Paolo Gentiloni è in aeroporto per salutare le volontarie Vanessa Marzullo e Greta Ramelli, vittime di un rapimento in Siria.

Sì, l’Italia del figliol prodigo ama le passerelle, ma in questo caso non è solo vanità. Destra e sinistra sanno per istinto che il plot del figlio perso e ritrovato tocca il cuore di tutti, oltre ogni distinzione di fazione. Perché magari quello si è fatto delinquente, avventuriero, ha idee che non ci piacciono, se ne è andato sbattendo la porta, ma il sentimento del Paese, salvo isolate nicchie di crudeltà, non guarda ai dettagli: il figlio è figlio, pezz ’e core, e quando torna tutti ci immedesimiamo nella mamma che corre in cucina a fare le lasagne, la versione nostrana del vitello grasso.