I giovani che protestano nelle università si servono di Israele come un simbolo, un capro espiatorio. Attaccano Israele ma per esprimere il proprio rifiuto nei confronti dell’Occidente

(di Ernesto Galli della Loggia – corriere.it) – C’è una irragionevolezza furiosa nelle manifestazioni con cui da San Francisco a Parigi migliaia di giovani occidentali stanno occupando le università e le piazze per dimostrare il loro sostegno alla causa palestinese. È la medesima che, in parte, stiamo vedendo nell’«Intifada studentesca» anche in Italia. È una irragionevolezza decisa a non prestare la minima attenzione alle ragioni di Israele. Per essa il mondo comincia oggi: le vicende della storia – dal protettorato britannico alla decisone dell’Onu nel 1947 sulla nascita di due Stati, dall’immediato rifiuto di tale decisione da parte degli arabi alla lunga serie di guerre successive – tutto è ignorato, giudicato irrilevante pur di esprimere solo e comunque ciò che urge con violenza dentro l’animo di quei giovani: il bisogno di mostrificare Israele e di scagliarsi contro di esso additandolo come un concentrato di nequizie.
Ma se il vero obiettivo non fosse in realtà quello gridato a squarciagola, se non fosse Israele, ma un altro?

I moti dei giovani sono sempre, al fondo, rivolte contro il padre. Contro il suo comando che impone l’obbedienza alle norme e ai ruoli della società, che si presenta necessariamente come una sorta di castrazione del desiderio sessuale e di onnipotenza dei figli. Il ’68 insegna. Ma, tranne poche frange, i figli rivoltosi di allora si ispiravano certo a idee, libri, illusioni. Che però pur collocandosi all’opposizione dell’ordine esistente, tuttavia facevano integralmente parte del patrimonio ideologico-culturale anche del mondo dei padri. Marx, Freud, Marcuse, Foucault, Laing, Nietzsche, Lévi-Strauss potevano ben essere annoverati, eccome!, in quello che venti anni dopo Allan Bloom avrebbe chiamato il «Canone occidentale». E lo stesso, a suo modo, poteva dirsi pure per Lenin, perfino per Stalin.

Ciò che è nuovo e straordinario, invece, è il fatto — esemplarmente visibile nei campus americani — che la rivolta giovanile antisraeliana attuale non solo non si rifà ad alcun canone culturale, tanto meno occidentale, a nessun testo, a nessun libro, ma che il suo retroterra sta per intero in un campo programmaticamente e radicalmente ostile all’Occidente in quanto tale. In sostanza i suoi protagonisti si servono di Israele ma come un simbolo, un capro espiatorio. Attaccano Israele ma per esprimere il proprio rifiuto nei confronti dell’Occidente, della sua storia, dei suoi valori, dei fondamenti della sua antropologia — dall’ordine della bisessualità ad una genitorialità fondata sulla presenza di un uomo e di una donna. Di ognuna di queste cose viene messo sotto accusa il presunto carattere menzognero, oppressivo.

In realtà, dunque, ciò che annunciano le manifestazioni di tutti questi mesi, l’imminente «Intifada studentesca», le migliaia di grida «Palestine will be free from the river to the sea», è una potenziale ma già virtuale secessione dall’Occidente dei suoi figli.

Ma se questi non vi si riconosco più, la colpa forse non è solo loro. Forse è anche del fatto che da tempo, quasi in una sorta di cupio dissolvil’Occidente è andato perdendo il significato della propria storia e dunque la propria identità. Perché l’Occidente è sul punto di non consistere più in nulla. Tutti i nodi stretti in lunghi decenni stanno venendo al pettine: un’istruzione via via a pezzi e ormai pressoché inesistente, la conseguente scomparsa della tradizione culturale, lo sberleffo decretato a ogni proposito conservatore equiparato su due piedi a un proposito reazionario; l’ostracismo comminato a ogni tratto antropologico che sapesse di antico in quanto «superato» e, viceversa, l’adesione a tutto ciò che sapesse di nuovo purché nuovo, anche se inusitato, bizzarro, «sperimentale»: e poi ancora la fine di ogni educazione sentimentale delle persone, la sostanziale insignificanza sociale del rapporto uomo donna, la corrosione del senso della paternità e della maternità, la dissoluzione dei legami familiari e comunitari, il declino di ogni istituzione, idea, o politica volta a proiettare il singolo in una dimensione sopra individuale. Non appare forse in questa luce, oggi, l’Occidente? Certo: anche molti diritti e un discreto benessere. Ma che cos’altro oltre questo?

E tuttavia, perché Israele, allora? perché gli ebrei? perché prendersela con loro? Perché nei territori più nascosti della psiche si conosce come stanno le cose. Perché l’ebraismo evoca immediatamente un’origine: l’origine. È da lì che in qualche modo anche noi veniamo, è lì in qualche modo la nostra origine, quella dell’Occidente. «Spiritualmente noi siamo semiti»: possiamo ripetere anche noi quel che disse un papa quando si trattò di opporsi ai signori della croce uncinata odiatori della civiltà occidentale i quali, non a caso, vedevano negli ebrei, proprio per questo, il principale nemico da annichilire. I figli dell’Occidente che per colpa nostra non sanno né vogliono più riconoscersi in esso dal momento che vedono in esso solo il male, e che si ribellano volendo distruggerlo, anch’essi, pur nella pochezza che li caratterizza, intuiscono come stanno le cose. Intuiscono che se ci si vuole davvero disfare dell’Occidente, come quei giovani vogliono avvertendo il peso di una paternità giudicata insopportabile, allora quella paternità va colpita davvero al cuore, alla sua scaturigine. Appunto urlando morte a Israele, morte ai sionisti…