(di Massimo Gramellini – corriere.it) – Immaginate di lavorare a contatto con il presidente di un’azienda pubblica (per esempio Paolo Emilio Signorini arrestato ieri in Liguria) e di accorgervi che vive come un piccolo oligarca, collezionando soggiorni in grandi alberghi e nei casinò di Montecarlo e Las Vegas con il corollario di bracciali d’oro e borse firmate in omaggio. Possibile che, dal presidente all’autista, nessuno se ne accorga e, accortosene, non senta il bisogno di intervenire?

La magistratura, quando arriva, arriva comunque dopo. Mentre una società sana, o un po’ meno guasta, dovrebbe avere dentro di sé gli anticorpi per fermare certe infezioni prima che sia troppo tardi. Specie se si tratta di una società finanziata dai contribuenti. Non è moralismo né invito alla delazione, ma l’articolo 54 della Costituzione: «I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina e onore». Se non lo fanno, chi sta loro accanto dovrebbe ricordarsene e magari ricordarglielo.

Invece la reazione classica consiste sempre in un «e vabbè…» in cui si mescolano servilismo, menefreghismo e rassegnazione a un andazzo che non scandalizza più nessuno perché nessuno pensa davvero che possa cambiare. 

Quanti di coloro che in queste ore staranno spettegolando sulla vita da nababbo di quel manager pubblico ne erano perfettamente al corrente anche l’altro ieri, ma hanno sempre tacitato gli scrupoli di coscienza dicendosi «e vabbè…?