La premier Giorgia Meloni alle prese con ministri, manager della Rai (e caporali di giornata)

Il fuoco amico su Meloni

(di Fabrizio Roncone – corriere.it) – Il festone elettorale di Pescara, le grida di evviva, i baciamano a Giorgia, gli inginocchiati davanti a Giorgia, l’ottimismo delle auto blu, degli abiti blu, delle scorte con i lampeggianti, l’eccitazione del potere. Poi, però, tornati a Roma, rientrati a Palazzo Chigi, resta il tema — enorme — del «fuoco amico».

Di solito, da mesi, succede questo.

Giovanbattista Fazzolari spalanca la porta: «Gio’, hai visto che bordello?» (il potente sottosegretario è ruvido, pragmatico, fedele: la conosce da una vita ed è tra i pochi che può permettersi di parlarle così, e di entrare senza bussare). La sorella Arianna scrive un whatsapp: «Letto le agenzie? Che si fa?». Poi, puntuale, arriva Patrizia Scurti (segretaria e psicologa, ombra e ombrello): «Calma, Giorgia. Risolveremo anche questa».

Perché ogni giorno che manda il Cielo, sulla scrivania della premier Giorgia Meloni atterra un problema, una gaffe, una stupidata, un colpo di arroganza provocata, scatenata da una folla di personaggi maldestri, perfidi, modesti, tutti destrorsi, tutti diventati — grazie al successo politico di lei — deputati, sottosegretari, ministri, dirigenti pubblici, manager. Un’umanità spesso scioccamente ossequiosa, preoccupata di non deludere Giorgia e, quindi, un po’ fantozziani e un po’ caporali di giornata: molti legati dalla cameratesca amicizia dei tempi andati (per fare carriera e casini in Rai, ad esempio, è abbastanza fondamentale essere transitati nella catacomba romana di Colle Oppio, storica sezione del Msi) e altri scelti dal destino (a Giorgia è capitato come quasi cognato Francesco Lollobrigida, meraviglioso gaffeur), o in vacanza (con la ministra Santanchè, indagata, andava sulla spiaggia dorata del Twiga) oppure per prestigiose e stringenti ragioni di riconoscenza (Ignazio La Russa, con il suo rango e la sua esperienza, l’aiutò a fondare Fratelli d’Italia e così lei ora deve tenersi le polemiche che il presidente del Senato le scatena quando racconta della sua passione per i busti di Mussolini, o quando spiega che, nell’attentato di via Rasella, «i partigiani uccisero una banda musicale di semi-pensionati, e non di nazisti delle SS» — falso storico clamoroso, da bar).

Un mischione micidiale, al tempo dei social. Il pericolo più concreto nel cammino della premier verso le Europee. Ma lei sa tutto. Le conosce certe cronache psichedeliche, nel senso che alcune sembrano davvero un’allucinazione, inventate, e invece ci sono registrazioni, video, testimonianze. Ha troppo mestiere: intuì — subito — che non erano solo dei semplici inciampi.

Come quel pomeriggio, a Cutro, dopo l’affondamento del barcone. Con i cadaveri degli immigrati che ancora galleggiano nell’acqua, il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi dice ai giornalisti: «La disperazione non può giustificare le condizioni di viaggio che mettono in pericolo la vita dei figli». Bufera. Frullatore. Così la premier decide: scendo in Calabria. Il progetto sarebbe di tenere una conferenza stampa per chiudere una ferita e invece si ritrova dentro una memorabile bolgia situazionista, con lei che — c’è tutto su YouTube — si guarda intorno basita. Ma dove sono capitata?
Era l’inizio.

Esistono, ormai, autentiche saghe. Strepitosa quella che ha come protagonista Gennaro Sangiuliano, il ministro della Cultura. Un giorno se ne esce dicendo che Dante era di destra (poi precisa, illustra: però, vabbé). La sera del premio Strega — «Ero un po’ stanco…» — dice in diretta tv che proverà a leggere i libri: il fatto è che li ha appena votati. Diventa leggenda. A soli 61 anni. Essendo già professore, giornalista, direttore, scrittore, e raccontando di avere una biblioteca con 15 mila volumi, 15 scritti da lui, ma senza un atlante. Perché, un’altra volta, annuncia che Times Square è un luogo iconico di Londra. Lapsus? Certo. Come quando proclama: «Basta fondi ai film di sinistra. La Rai deve produrre fiction sulla Fallaci e su Montanelli!». Solo che su Oriana ne è già stata prodotta una (nel 2015) e RaiPlay è piena di contenuti su Indro.

Titoli graffianti dei giornali, e poi Crozza, Luca&Paolo, Virginia Raffaele. Provate a immaginare lo sguardo della Meloni. Cosa pensa. E cosa non può dire del suo ministro. Fuoco amico: c’è di peggio? Sì: il fuoco di famiglia. Lollo, siamo arrivati a lui. Al compagno della sorella Arianna. Quello che un pomeriggio fa fermare un Frecciarossa. Alla Meloni devono ripeterlo due volte. «Esatto, Giò, hai capito bene: l’ha fatto fermare, ed è sceso». Una di quelle robe che fa infuriare l’opinione pubblica. Così sono costretti a raccontarci la storiella che chiunque, volendo, può fermare un Frecciarossa. Il ministro: «È un attacco a Giorgia!». Sì: il suo. E nemmeno il primo. Memorabile: «Da noi, spesso, i poveri mangiano meglio dei ricchi».
Giorgia, disperata, incarica Fazzolari: la comunicazione di Palazzo Chigi, e del partito, la gestisci tu. Poi, un’ora prima di partire per NY, dove parteciperà all’Assemblea generale dell’Onu, le passano una telefonata: «C’è in linea il presidente della Commissione dell’Unione Africana». Ma è uno scherzo. Dall’altra parte, due comici russi. «Chi è il cretino che m’ha esposto a una simile figuraccia?».

Numerosi osservatori avanzano un dubbio, forte: la Meloni è arrivata al suo grande appuntamento con la storia, prima donna alla guida del governo, e per di più proveniente da destra, con un establishment non all’altezza (eufemismo).
Sì, no, forse, può darsi. Di certo, i suoi due parlamentari più rampanti, e fidati, Andrea Delmastro e Giovanni Donzelli, sottosegretario alla Giustizia e vicepresidente del Copasir, finiscono in un tornado: sono accusati di aver diffuso informazioni riservate su presunti legami tra ambienti anarchici e criminalità organizzata. Delmastro, però, fa di più: entra pure dentro la storia di Capodanno, a Rosazza, nella locale Pro loco. Dove dalla pistola di un altro Fratello d’Italia, Emanuele Pozzolo, parte un colpo che ferisce una persona.

Guardate: servirebbero dieci pagine di giornale, per raccontarvi tutte le baruffe in cui è stata coinvolta la premier. Sugli appunti, c’è scritto: ricordarsi del caso Giambruno. Cioè di Andrea, il padre di sua figlia Ginevra. Ma qui basta che vi andiate a ricercare le immagini di Striscia: un fuori onda pieno di terribili frasi allusive e gesti, con lui, promosso in conduzione su Rete4 da Mediaset proprio quando lei stravince le elezioni, che fa il gallo in uno studio. Lo lascia, con un messaggio sui social: «La mia relazione con Andrea Giambruno finisce qui…».

Del recente caso Scurati, sapete tutto. Ora stanno cercando di salvare Paolo Corsini, il direttore degli Approfondimenti che ha fatto approfondire all’intera nazione quel testo sul 25 Aprile: ma lei, Giorgia, è ancora furibonda. Davvero: ogni giorno, una. Matteo Salvini, a giorni alterni. Più che alleato, il suo maggior oppositore. Per dire: adesso spera di rubarle qualche punticino di consenso a destra, tra i fasci nostalgici, candidando il generale Vannacci, fan di Benito.

«Gio’, lascia stare: stavolta quello va a sbattere».