Il 17% dei posti resta vacante, ma la percentuale sale al 47% per i reparti di medicina d’urgenza e al 60% per anatomia patologica. In aumento anche chi va via dall’Italia: dal 2020 oltre 5 mila professionisti

(PAOLO RUSSO – lastampa.it) – I concorsi medici che finiscono deserti sono il primo segnale di una fragilità che rischia di trasformare una criticità gestibile in una falla strutturale del Servizio sanitario nazionale. Non si tratta soltanto di graduatorie con pochi idonei o rinunce in ultima battuta: sempre più bandi – soprattutto per Pronto soccorso, anestesia, urgenti e specialità usuranti – non raccolgono candidature sufficienti. È un fenomeno che sta crescendo con l’allentamento delle restrizioni al turnover e che potrebbe aggravare quella carenza di camici bianchi che oggi, pur non essendo ancora allarmante, è già sotto osservazione dai manager sanitari.
Nel corso del 2025 su 15.283 posti messi a bando dalle Regioni per varie specialità mediche 2.569, pari a circa il 17%, sono rimasti vacanti. Ma i camici bianchi. Si tengono alla larga soprattutto dai settori nevralgici e al tempo stesso usuranti del nostro sistema sanitario. Nella medicina di emergenza e urgenza, quella che deve cavarsela nel girone dantesco dei pronto soccorso d’Italia, su 976 posti disponibili, solo 537 sono stati assegnati, con circa il 47 % dei posti vacanti. Ma ci si tiene ala larga anche da anatomia patologica, radioterapia e discipline di laboratorio, specialità che i certi casi hanno oltre il 60% di posti non assegnati.
In Valle d’Aosta il 56% dei concorsi medici banditi sono andati deserti; al Cardarelli di Napoli un concorso per dirigenti di Pronto soccorso non ha registrato neppure un candidato; in Piemonte bando per cinque Pronto soccorso senza partecipanti; idem per il posto di dirigente del Serd (il servizio per i tossicodipendenti) a Trento e per i due posti da nefrologo alla Asl di Vercelli; a Rovigo nessuno per un posto da anestesista a tempo indeterminato; in diverse Asl del Nord-Ovest i bandi per ginecologia, ortopedia e urologia si chiudono nel nulla. È la punta di un iceberg che gli ospedali già percepiscono sulla loro pelle ogni giorno.
Una componente importante è poi la mobilità internazionale. Negli ultimi anni circa mille medici italiani ogni anno hanno richiesto i certificati per trasferirsi e lavorare all’estero, secondo stime della Federazione nazionale degli Ordini dei medici – un numero che è una costante, non un picco episodico. Altre fonti associative parlano di oltre 5.000 medici italiani e 1.000 infermieri che negli ultimi cinque anni hanno presentato richieste di trasferimento fuori dai confini nazionali, con mète che vanno dall’Europa settentrionale agli Emirati Arabi. Una fuga che non è solo statistica, ma impatta sugli organici locali, in particolare nei reparti più stressati e nel territorio.
Questa mobilità si somma a un altro problema: l’imbuto formativo. Il numero programmato all’ingresso di Medicina, le lunghe attese per le specializzazioni e la scarsa attrattività di alcune branche rallentano l’ingresso stabile di giovani medici nel mercato del lavoro. Secondo un’indagine del sindacato medico Anaao Assomed, anche molti concorsi di specializzazione restano senza assegnazione: nel 2024 non è stato attribuito il 25% delle borse di specializzazione, mentre per medicina d’emergenza-urgenza è stata assegnata meno di una borsa su tre.
Percentuali molto alte di posti non coperti si rilevano per microbiologia, patologia clinica, radiologia, medicina nucleare.
Ma a rischiare la desertificazione sono soprattutto gli studi dei medici di famiglia. Nel 2024 su 2.623 borse di studio disponibili, infatti, sono solo 2.240 i candidati che si sono fatti avanti, lasciando vuoto il 15% dei posti disponibili con punte nelle Marche (881 candidati per 155 posti), Toscana (150 presenti per 3200 posti), Veneto (186 aspiranti medici di base per 212 posti disponibili).
I numeri raccolti da Istat e Agenas raccontano di una grande fuga dei medici di famiglia, che dagli oltre 46mila del 2002 ha portato 42.426 medici nel 2019, 41.707 nel 2020, 40.250 l’anno successivo per arrivare da qui al 2025 a contarne solo 36.628, qualcosa come diecimila in meno in 12 anni, durante i quali la popolazione sarà pure leggermente diminuita ma è anche invecchiata. E sono proprio gli anziani a fare più spesso visita agli ambulatori dei camici bianchi sul territorio. Il problema è che già oggi la maggior parte di loro ha oltre 25 anni di servizio e il ricambio generazionale non è in vista all’orizzonte. Anzi, secondo l’Enpam, l’ente previdenziale dei dottori, i giovani formati da qui al 2031 copriranno solo la metà dei 20mila medici di famiglia destinati ad andare in pensione, visto che oltre il 50% di loro ha già più di 60 anni.
In questo contesto la sfida è doppia. Da un lato c’è la gestione del turnover e delle pensioni di massa che si avvicinano – nel 2022, un quarto dei medici di famiglia e ospedalieri aveva già superato i 60 anni – con prospettive di uscite significative nei prossimi dieci anni. Dall’altro c’è la capacità di attrarre e trattenere professionisti sanitari qualificati, in un mercato europeo dove la domanda è diffusa e i salari e le condizioni di lavoro spesso più vantaggiosi. Senza contromosse valide non solo quella infermieristica, ma anche l’emergenza medica è destinata ad esplodere.
La legge di Bilancio e il voltafaccia sociale del governo Meloni
“Con Meloni non c’è stato un cambio di governo ma
di regime”.
(Michela Ponzani, storica – “Più libri, più liberi”,
6 dicembre 2025)
(di Giovanni Valentini – ilfattoquotidiano.it) – Nella terminologia teatrale, la macchina scenica è l’insieme degli apparati meccanici e tecnici che servono per mettere in scena lo spettacolo. Ed è formata da tre elementi essenziali: il palcoscenico, la torre scenica e il sottopalco. Il palcoscenico è lo spazio in cui si svolge la rappresentazione e gli attori recitano ognuno la propria parte in commedia. La torre è la struttura verticale in cima alla quale sono installati i macchinari per l’illuminazione e la movimentazione delle scene. E infine, il sottopalco è lo spazio sotterraneo di servizio che comprende anche la botola attraverso cui i personaggi possono apparire e scomparire. Per il governo guidato da Giorgia Meloni, la macchina scenica è composta rispettivamente dal palcoscenico delle televisioni, quella pubblica controllata direttamente e quella privata attraverso il partito-azienda berlusconiano, con il contorno dei giornali “fiancheggiatori”; poi dalla torre scenica di Palazzo Chigi; e infine dal sottopalco del Parlamento dove le proposte e gli emendamenti appaiono e scompaiono dalla sera alla mattina con i loro rispettivi autori. Così va in scena la narrazione dello spettacolo interpretato dalla premier e dai suoi comprimari. Una messa in scena quotidiana, in cui gli annunci e le promesse si alternano alle tensioni e ai dietrofront.
Hanno avuto ragione i senatori dell’opposizione a inalberare nell’aula di Palazzo Madama i cartelli con la scritta “Voltafaccia Meloni”, mentre la maggioranza approvava la manovra economica. Ovvero: “Promettevano abolizione Fornero, aumentano l’età pensionabile”. E non sbaglia Raffaella Paita (Italia Viva) a dichiarare in un’intervista alla Stampa che “la legge di bilancio non è stata un inciampo tecnico, ma il primo vero segnale di un malessere politico più profondo”: e cioè, quello di una maggioranza divisa al proprio interno, rabberciata con il collante del potere. La situazione è talmente paradossale che l’ex rottamatore Matteo Renzi si candida a diventare il frontman del centrosinistra, proclamando nella sua requisitoria a Montecitorio: “La Meloni doveva abbassare le tasse e invece le ha aumentate. Mai vista una legge di bilancio così mediocre”.
Poi c’è anche la vox populi di Anita Blanco su X, con tanto di video annessi: “Meloni: dal secondo figlio l’asilo sarà gratis… Roccella: Confermato in manovra, l’asilo gratis dopo il secondo figlio… Donzelli: Abbiamo fatto quello che la sinistra non ha mai fatto, l’asilo gratis dopo il secondo figlio…”. Il risultato è che l’asilo non sarà gratis per nessuno. Per non parlare delle liste d’attesa nella sanità pubblica, delle accise sulla benzina, del riscatto della laurea e dei tempi lunghi per ricevere l’assegno della pensione, della tassa retroattiva sull’oro da investimento e delle mire su quello della Banca d’Italia.
Un merito, tuttavia, bisogna riconoscerlo alla premier Meloni: quello di aver imposto un’austerità occulta che fa rientrare il Paese nei vincoli di bilancio, per evitare una procedura d’infrazione da parte dell’Unione europea. Qualsiasi governo, in tali condizioni, avrebbe dovuto rispettarli. La differenza, però, sta nella distribuzione delle risorse disponibili: la difesa e la corsa al riarmo anziché i servizi pubblici e il sistema sanitario nazionale; il warfare, già vagheggiato da Mario Draghi, al posto del welfare. Non si può che concordare allora con un intellettuale di destra come Marcello Veneziani, quando afferma sulla Verità che questa manovra è ”il trionfo della mediocritas” e che il governo Meloni “non ha lasciato ancora il segno”. Ma, di questo passo, difficilmente riuscirà a farlo in futuro.
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Il lavoro di pronto soccorso è una sfida, per certi versi stimolante, ed ovviamente anche estremamente stressante, ma per essere attrattivo deve offrire qualcosa in più, dal punto di vista economico, di progressione di carriera, di pensionamento e di riposi ! In alcuni paesi i medici di PS hanno una settimana di riposo ogni 3 mesi, oltre le ferie, per recuperare, ma la carenza nel settore non può permetterlo, creando così un cortocircuito destinato a far fallire una delle principali attività sanitarie ! Inoltre è impensabile fare il medico di pronto soccorso per 35 anni o più, dopo un certo numero di anni, da 10 a 15 vanno trovati settori alternativi dove impiegare professionisti specializzati in medicina interna, cardiologia, pneumologia, ecc, quindi andrebbe tolta la specializzazione in Medicina di Urgenza, per poter implementare questo percorso, necessario, se non si vuole desertificare la porta d’ingresso dell’ ospedale da cui transitano ogni anno circa 30 milioni di persone! Poi manca la giusta educazione agli utenti per evitare il sovraffollamento, perché milioni di individui diventano ingestibili per chiunque…..si faccia informazione adeguata spiegando che un dito a scatto da mesi non ha alcuna caratteristica di emergenza-urgenza e che non necessita affatto del trasporto in ambulanza: si chiama razionalizzazione delle risorse umane ed economiche! Difficile da attuare dopo decenni di propaganda contro il SSN da affossare a favore della sanità privata ed ora i nodi sono venuti tutti al pettine, complicati da sbrogliare…..anche per colpa dei cittadini che non hanno mai protestato quando il SSN veniva devastato da tagli, mentre i soldi dei contribuenti finivano altrove….come se la malattia non fosse una tappa quasi obbligata nella vita di ognuno!
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