La critica. Inadeguate e poco unite: l’accusa sui giornali e nei talk show. I sondaggi però dicono che la partita è aperta, soprattutto sui temi concreti e sociali

(Estratto dell’articolo di Salvatore Cannavò – ilfattoquotidiano.it) – C’è un tormentone che si ripete in tutti i talk show, sui giornali, alimentato da opinionisti progressisti: le opposizioni al governo Meloni sono inadeguate. Non ce la possono fare a scalzare la presidente del Consiglio che, invece, dimostra forza, solidità e stabilità. Anzi, come scriveva qualche giorno fa l’editorialista di Repubblica, Stefano Folli, “il centrodestra si mostra più compatto dell’opposizione, e non è una novità”. Affermazione surreale se si legge il seguito: “Naturalmente c’è Salvini che si distingue: paragona l’Unione europea e la sua rappresentante per la politica estera, Kallas, a Napoleone e Hitler”: un dettaglio. […] E pochi giorni prima lo scontro tra Matteo Salvini e il resto della maggioranza sulle armi all’Ucraina. Ma, agli occhi dei commentatori di casa nostra – che alimentano il 90% dell’informazione politica televisiva – il problema è solo dell’opposizione.
Ma davvero queste sono inadeguate a fronteggiare Giorgia Meloni? Se è così, lo sono certamente meno che in passato. Intanto, tutti i sondaggi le danno alla pari con la maggioranza. E poi, in pochi notano che dal 2007, atto della sua nascita, il Pd sta praticando di fatto l’opposizione per la prima volta. Appena nato, si faceva notare per definire Silvio Berlusconi “il principale esponente dello schieramento a noi avverso”, per scrollarsi di dosso l’antiberlusconismo. Figure oggi alla corte di Giorgia Meloni come Luciano Violante, garantivano all’ex Cavaliere che mai e poi mai il centrosinistra avrebbe toccato il conflitto di interessi e chi ricorda più i Fassino o i Rutelli, “dirigenti con cui non vinceremo mai?”. Quando nel 2010 Berlusconi iniziò a vacillare, il Pd ripose le proprie speranze prima in Gianfranco Fini e poi nel governo Monti formato in alleanza con… Berlusconi. È stato all’opposizione del governo Lega-M5S nel 2018, ma solo per un anno, prima di partecipare al Conte-2 e poi all’amato Draghi.
Temi concreti. Altra critica: le opposizioni non parlano di temi concreti. L’ossessione per la politichetta di palazzo è in realtà tipica dei talk-show. Mentre nel corso del dibattito parlamentare sul Consiglio europeo Giuseppe Conte ed Elly Schlein hanno esordito entrambi citando i dati sulle liste di attesa nella sanità pubblica stilati da Cittadinanzattiva. […]
Divisi all’estero. Secondo Antonio Noto, uno dei massimi sondaggisti italiani, la divisione che pesa di più in realtà è quella sulla politica estera e, dal punto di vista dell’elettorato, “colpisce di più un’opposizione che non si unisce che un governo diviso”. Anche perché il governo alla fine la sintesi la trova, mentre le opposizioni “hanno convenienza, per ragioni elettorali, a marcare le proprie distanze”. Tutti dimenticano però che la guerra in Ucraina è cominciata quando M5S e Pd sostenevano il governo Draghi trovando sempre una posizione comune. L’unità programmatica è più una esigenza degli osservatori che una difficoltà insormontabile. Si fa finta di non vedere che alle elezioni regionali Pd, M5S, Avs e addirittura Italia Viva sono riusciti a trovare l’unità in una regione, la Campania, dove sembrava impossibile. Semmai, in questo caso, si può rimproverare un’eccessiva disinvoltura.
Se si vuole offrire una lettura meno partigiana, appare chiaro che Pd e M5S cercheranno di coltivare il proprio profilo programmatico fino all’ultimo momento utile, ma alla fine troveranno un programma unitario.
Antonio Floridia, editorialista del manifesto, autore di Pd, un partito da rifare, procede per sillogismi: “Salvo istinti suicidi, tutti hanno preso atto che un accordo elettorale il più ampio possibile sarà necessario anche perché, dato decisivo, il prossimo Parlamento elegge il prossimo presidente della Repubblica”. L’unità andrà fatta su punti essenziali, perché “è impossibile ed è assurdo pretendere che le forze di opposizione concordino su tutto: ognuno presidia un segmento di elettorato e si fa finta di non capire questo dato elementare”. Dopodiché l’alleanza può sembrare inadeguata, ma “solo se si pretende che il Pd debba fare tutte le parti in commedia, centro e sinistra”. Invece il Pd “ha un profilo più istituzionale ma non centrista, e sarebbe bene che un progetto di questo tipo si formi al suo esterno” mentre il M5S “che è più movimentista, è bene che conservi parte della sua identità originaria”.
“Quello che manca all’opposizione – osserva ancora Noto – non è tanto un unico leader, ma un’idea collante. Possono anche avere posizioni diverse, ma dovrebbero avere un progetto che le unisca con cui riscaldare i cittadini, in particolare quelli che non sono a favore del governo”. Questo è il problema principale delle moderne competizioni elettorali dove un’idea-forza spesso coincide con un leader carismatico. È ciò che ha garantito il successo di Berlusconi […]
Verso le primarie. Oggi nella coalizione progressista non si percepisce l’idea-forza – il salario? La sanità? La pace? L’ambiente? – né tantomeno una figura carismatica che trascini l’alleanza. A dare una mano potrebbe essere più che il contenuto, la forma. Le primarie democratiche sono sempre state un fattore importante di mobilitazione. Ma devono essere primarie vere, quindi contendibili. “Ma chi ci assicura poi che, in caso di primarie vere, un risultato non atteso, come ad esempio la vittoria di Conte, non aumenti la conflittualità?” si chiede ancora Noto. In realtà, che l’opposizione sia adeguata lo conferma proprio Giorgia Meloni che vuole cambiare la legge elettorale, perché con quella in vigore c’è il rischio perlomeno della parità. Floridia pensa che alle opposizioni convenga l’attuale Rosatellum piuttosto che un nuovo Porcellum pasticciato. “Però si può disinnescare il rischio delle divaricazioni mettendosi d’accordo sulle primarie” viste come un volano positivo.
La discussione sulla “inadeguatezza” in realtà nasconde l’insofferenza per l’alleanza tra Pd e M5S che gran parte dell’élite progressista vuole far saltare (da qui l’idea dei “federatori” di centro). Conte e Schlein lo sanno, ma forse devono avere più coraggio nel contrastare questo progetto.
Qualcuno non riesce a capire che se ” gran parte delle elite progressiste ” non vuole l’alleanza tra PD e M5S, la maggioranza degli ELETTORI M5S la rifiuta a ogni costo.
"Mi piace"Piace a 2 people
"Mi piace"Piace a 1 persona
“Ma chi ci assicura poi che, in caso di primarie vere, un risultato non atteso, come ad esempio la vittoria di Conte, non aumenti la conflittualità?”
Non atteso? È proprio perché è ATTESO che si insinua l’ipotesi di nominare il leader secondo il partito “che ottiene un voto in più”, regola mai seguita nel csx.
"Mi piace"Piace a 1 persona
Io spero che si torni al proporzionale e si smetta di mettere insieme capre e cavoli .Il tema dell’ articolo e il suo motivo trainante cioè le alleanze sono obsolete e generatrici di conflitti . La destra riesce a superare i contrasti proprio perché fa schifo e per il potere di venderebbe la madre . Ma a noi elettori questo non ci porta bene e prosperità specialmente se per amor di squadra dimentichiamo la posta in gioco cioè il benessere della società e non la vittoria effimera di un gruppo sull’altro.
"Mi piace"Piace a 1 persona