Dal momento che domenica la trasmissione ha sforato di qualche minuto, la mail ricorda di attenersi alle durate previste. Peccato che mentre il cronometro correva “Report” facesse circa il 10 per cento di share con 1,8 milioni di spettatori, toccasse punte del 12 per cento e superasse i due milioni

(Salvatore Merlo – ilfoglio.it) – C’è una domanda che torna, puntuale come una mail protocollata, nel rapporto tra “Report” e la Rai. Non è polemica, non è rivendicazione. E’ piuttosto una curiosità quasi amministrativa di Sigfrido Ranucci: com’è che la burocrazia della Rai si manifesta sempre con grande efficienza quando c’è da segnalare un problema, e mai quando ci sarebbe un risultato positivo da registrare? In altri termini: com’è che mi rimproverano sempre e non mi dicono mai bravo? Ieri mattina la risposta è arrivata a Ranucci sotto forma di un richiamo garbato ma formale della direzione Palinsesto per poco meno di dieci minuti di sforamento. Una mail. Tono istituzionale, lessico amministrativo e un avvertimento finale sulla necessità di attenersi alle durate previste. Domenica sera Tg3 Mondo è partito alle 00.16, dunque qualcosa non ha funzionato. “Report” si è allungata. E la macchina ha scritto: “Vi preghiamo di attenervi alle indicazioni di durata date dal Palinsesto contenendo la durata delle trasmissioni. In caso contrario saremo costretti ad adottare una politica differente di programmazione”.
Peccato che, mentre il cronometro scorreva, domenica “Report” facesse circa il 10 per cento di share con 1,8 milioni di spettatori, toccasse punte del 12 per cento e superasse i due milioni. Battendo anche Fabio Fazio, che aveva Roberto Benigni per circa un’ora ospite a parlare di Papa Francesco. L’anteprima al 7,3, il Plus all’8,1. “La migliore trasmissione di informazione del prime time”, sostiene il Qualitel, cioè il sondaggio che la Rai deve fare per contratto di servizio pubblico.
E qui sta forse l’ironia tutta interna alla vicenda. La burocrazia Rai è presente, vigile, puntuale. Ma a “Report” pensano che abbia un solo verso: quello del rimprovero. Mai una comunicazione per dire “bene”, mai una nota per prendere atto che un programma regge la serata di Rai3, fa da traino ai programmi che seguono.
Ranucci, in fondo, non chiede indulgenze. Si chiede solo perché l’amministrazione compaia sempre quando c’è qualcosa da limare e non quando ci sarebbe qualcosa da riconoscere. Il fatto è che il rapporto tra la Rai e “Report”, come tutti sanno, è da tempo una relazione stabile ma un po’ guasta, attraversata dal sospetto politico che accompagna la trasmissione e dalla sensazione che le inchieste procedano spesso in una sola direzione: contro la destra. Così la storia Rai-“Report” va avanti da anni: regolata, formale, vigilata. Tesa. E i complimenti, se esistono, devono ancora trovare il modulo giusto. Magari con timbro, data e numero di protocollo.
La creazione del nemico è un nuovo “fascismo 2.0”
(di Angelo d’Orsi – ilfattoquotidiano.it) – Sono reduce da un originale convegno internazionale svoltosi a Parigi sul tema “Neoliberalismi, neofascismi, neopopulismi” (e un sottotitolo che dichiarava una linea generale foucaultiana: “Spettri di Foucault”). L’incontro (organizzato da Francesca Belviso, Cynthia Fleury, Guillaume Le Blanc, sotto l’egida della Sorbonne e di altre istituzioni parigine), è stato ricco di spunti utili per comprendere anche la situazione italiana. Del resto la nostra bella nazione, dopo aver dato i natali al fascismo di Mussolini, è stata patria del neopopulismo berlusconiano, del neoliberalismo autoritario di Mario Draghi, e del neofascismo alla Meloni.
In effetti si è parlato soprattutto di Italia, sia di quella in cui sorse e si affermò il fascismo con l’appoggio dei poteri forti dell’epoca (largamente gli stessi di oggi), sia di quella dei nostri tempi, prona agli Stati Uniti e ultima fra le aspiranti al rango di media potenza, con i salari più bassi d’Europa (solo la Grecia martirizzata da Bce, Fmi e Ue fa peggio), con tassi di scolarizzazione infimi e carenza di libertà nei media. Ma si è parlato in generale di neoliberismo, come malato delle ingiustizie del mondo presente, una sorta di basso continuo che determina e spiega molte delle situazioni di conflitto nel mondo. Come mostrano gli eventi quotidiani, dalla Palestina all’Ucraina, assistiamo a un vero e proprio rovesciamento della massima più o meno correttamente attribuita a von Clausewitz, ossia non è la guerra la prosecuzione della politica con altri mezzi, ma l’opposto: oggi la politica è essa stessa guerra, è la prosecuzione della guerra con altri mezzi. E il nuovo fascismo, come il fascismo classico, tende a trasformare la convivenza interna alla nazione in scontro violento, a trasformare “un” popolo “nel” popolo, il solo autorizzato a dialogare col “capo”, quel popolo che opportunamente indottrinato, convinto che c’è un nemico alle porte e che ha degli agenti nel Paese (il “nemico interno”) dovrà prima credere, poi obbedire, infine combattere. Ossia il fascismo, ricorrendo a ogni opportuno strumento della propaganda, all’asservimento dei media, combinato con dispositivi di “prevenzione” esasperata e di controllo pervasivo, spacca in due blocchi la comunità mettendo l’uno contro l’altro, ma l’uno dei due è sorretto dai poteri apparentemente neutrali, che sono però espressione dello stesso centro da cui si genera il fascismo. In altri termini la corruzione del liberalismo, l’avvento del neoliberismo sorretto dal turbocapitalismo (ormai tecnocapitalismo), producono situazioni politiche che, combinate con nuove forme di populismo, diventano il nuovo fascismo.
Il livello del convegno si è alzato quando è arrivato uno degli ultimi “grandi vecchi”, Etienne Balibar, l’allievo di Althusser, con il quale aveva firmato l’originale, e discussa, rilettura strutturalista di Marx, Leggere il Capitale, nel fatidico anno 1968. (Quando saranno scomparsi tutti, quelli nati fra le due guerre, mi chiedo se vi saranno forze intellettuali in grado di rimpiazzarli). Balibar, con sorridente anche se preoccupata pacatezza, ci ha confermato che il fascismo, come risultato di quei fattori sopra descritti, è di nuovo fenomeno di drammatica attualità. E che esso innanzi tutto ingigantisce gli apparati di controllo, che con le nuove tecnologie sono divenuti una forma di colonizzazione della mente, pressoché inarrestabile, creando quel “senso comune” di cui Antonio Gramsci per primo ha parlato, denunciandolo come essenza stessa del meccanismo di propaganda. E la finalità è da un lato stabilire o ristabilire feroci gerarchie sociali all’interno delle nazioni e, dall’altro, produrre un meccanismo perpetuo di guerra. Il totalitarismo fascista infatti ha bisogno di movimento, di mobilitazione perenne delle masse, trasformate in folle obbedienti e anonime, pronte ad andare a caccia dei nemici interni e a farsi massacrare in guerre all’esterno. Non importa se neppure sanno chi siano coloro contro cui devono combattere, e coloro per i quali devono morire. Il fascismo, ieri col passo dell’oca, il fez e il manganello, oggi dietro gli schermi del pc o in tv, in blazer e cravatte blu, ha bisogno, per conto del blocco sociale dominante, di creare nemici, per aumentare il proprio controllo sociale, di decidere anticipatamente chi deve vincere le elezioni, di domare la magistratura, di irreggimentare partiti, sindacati, giornali. Possono anche continuare a esistere i dissidenti, purché vengano silenziati o almeno ridotti in un angolo sempre più ristretto, dal quale non potranno mai venir fuori. E lorsignori, sempre meno numerosi, sempre più scandalosamente ricchi, domineranno la Terra, nel contempo distruggendola con la loro stessa bramosia di potere e di ricchezza. Una nemesi storica e antropologica della quale c’è poco da rallegrarci, dato che saremo tutti destinati a soccombere. A meno che ora, fin d’ora, non riusciamo a invertire la rotta.
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Grazie alla Redazione di Infosannio…..!!!
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Mi chiedo per l’ ennesima volta….ma perche’ Ranucci rimane ostinatamente in RAI….????? A differenza dei Cittadini…viale Mazzini non lo merita….!!!!!
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forse perchè è “una riserva indiana” senza ci sarebbe il deserto informativo televisivo.
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