Quasi 4 su 10 sono sì favorevoli al supporto economico ma contrari all’eventuale invio di militari a Kiev

(Alessandra Ghisleri – lastampa.it) – Gli italiani si chiedono sempre più spesso come andrà a finire la lunga guerra in Ucraina. Un conflitto che, a quasi tre anni dall’inizio dell’invasione russa, continua a produrre un sentimento diffuso fatto di attesa e timore: attesa per capire come evolverà la situazione, timore per le possibili conseguenze, anche inattese, che potrebbero toccare direttamente il nostro Paese.
Non è un gioco di parole né un esercizio retorico: da quel febbraio 2022 nulla è più tornato davvero come prima, né in Europa né nel mondo. Secondo il sondaggio di Only Numbers per la trasmissione Realpolitik, il 55,6% degli italiani è convinto che l’Italia debba continuare a sostenere l’Ucraina, ma si tratta di un dato tutt’altro che monolitico. Il 37,1% ritiene giusto supportare Volodymyr Zelensky, ponendo però un limite chiaro e invalicabile: nessun invio di soldati italiani sul terreno, i cosiddetti boots on the ground; un ulteriore 18,5% invece considera il sostegno un obbligo derivante dall’appartenenza alle alleanze internazionali, anche a rischio di un coinvolgimento diretto nel conflitto. Su questo punto sul fronte opposto, emergono fratture politiche significative. Il 64,9% degli elettori della Lega si dichiara contrario al sostegno all’Ucraina, posizione condivisa dal 40,0% dei sostenitori del Movimento 5 Stelle.
La guerra, dunque, continua a dividere non solo l’opinione pubblica, ma anche l’elettorato lungo linee sempre più identitarie e strategiche. A rendere il quadro ancora più complesso è la percezione della nostra sicurezza nazionale. Un cittadino su due (50,0%) ritiene che le nostre Forze Armate e gli armamenti italiani non siano pronti né adeguati a difendere il Paese da un eventuale attacco. Quando si evocano scenari gravi -terrorismo, cyber-attacchi, crisi su larga scala- il giudizio diventa molto severo: mezzi insufficienti, burocrazia lenta, coordinamento carente tra politica e apparato istituzionale… Sicuramente in questo contesto pesa molto la narrazione mediatica e politica, che spesso descrive l’Italia come poco armata, poco preparata, capace soprattutto di improvvisare e reagire, più che di prevenire.
Una rappresentazione che tuttavia semplifica una realtà decisamente più complessa. Eppure, accanto a queste paure, emerge un dato che potrebbe sembrare contraddittorio: se solo il 30,5% degli italiani si dice convinto che il Paese sia realmente pronto a difendersi, le Forze Armate godono di un indice di fiducia pari al 61,3%. Una fiducia che nasce dal contatto diretto, dalla presenza quotidiana sul territorio di carabinieri, polizia, esercito impegnato nelle “zone rosse” delle città, nel controllo, nella sicurezza e nella gestione delle emergenze. È una fiducia relazionale, costruita sull’esperienza concreta più che sulla valutazione strategica. Nel confronto con altri Paesi europei -Germania, Francia, Spagna, Regno Unito- l’Italia non appare un’eccezione: la preoccupazione per la preparazione strategica è diffusa ovunque; tuttavia, nel nostro caso emerge una percezione più accentuata di vulnerabilità, come se il senso di fragilità fosse diventato un tratto distintivo. Questa apparente contraddizione racconta molto del momento storico che stiamo vivendo.
Gli italiani si fidano degli uomini e delle donne in divisa, ma faticano ad avere fiducia nel sistema nel suo insieme. È il segnale di una società che riconosce il valore del servizio e del sacrificio, ma chiede con forza una politica più chiara, più coesa e capace di visione. Di fronte a una guerra che tocca direttamente l’equilibrio europeo e mondiale, la politica italiana mostra invece tutta la sua difficoltà a essere compatta e strategica. Prevale spesso la divisione, la tentazione di usare il conflitto come terreno di scontro interno, più per mettere in difficoltà l’avversario che per costruire una posizione credibile e condivisa. Tuttavia, questo non è un gioco che riguarda solo chi aderisce a questo o a quel partito: è una responsabilità che coinvolge tutti, perché in gioco non c’è il consenso immediato, bensì la sicurezza collettiva.
Gli slogan sono semplici, evocativi, rassicuranti nel breve periodo. La protezione reale del cittadino, invece, è silenziosa, complessa, poco spendibile in campagna elettorale. Non porta applausi immediati né voti facili, ma esiste, ed è proprio quella che fa la differenza quando le crisi diventano realtà. E forse è da qui che dovrebbe ripartire il dibattito pubblico: dalla consapevolezza che la sicurezza non è una bandiera da sventolare, ma una responsabilità da esercitare, anche quando non conviene.
La protezione reale del cittadino, invece, è silenziosa, complessa, poco spendibile in campagna elettorale. Non porta applausi immediati né voti facili, ma esiste, ed è proprio quella che fa la differenza quando le crisi diventano realtà.
bravissima! io (😆😂) l’avevo detto a Giuseppe di lasciar perdere le cosette geopolitiche e concentrarsi sulle cose nostrane
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Semplicemente non credo a questi dati
Tutti i sondaggi son falsi e sono manipolati come arma di condizionamento di massa. Questo di più.
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