
(Enrica Perucchietti – lindipendente.online) – La Banca Centrale Europea chiude la porta a un emendamento presentato da Fratelli d’Italia alla legge di bilancio, primo firmatario il senatore Lucio Malan, e richiama Roma al rispetto delle regole dell’Eurozona. Con un parere formale, la BCE mette in guardia l’Italia contro qualsiasi tentativo volto a contestare l’indipendenza della banca centrale ed evidenzia conflitti con il Trattato UE e l’autonomia della Banca d’Italia. Il Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF) sta ora lavorando a una riformulazione del testo per recepire le obiezioni della BCE, anche se diversi esperti suggeriscono di ritirarlo del tutto per evitare nuovi attriti istituzionali. Al centro dello scontro c’è un tema che ciclicamente riemerge nel dibattito politico: la proprietà e il controllo delle riserve auree della Banca d’Italia. Una questione che va ben oltre il valore simbolico dell’oro e tocca un nervo scoperto del rapporto tra sovranità nazionale e architettura europea. L’iniziativa di FdI ha riacceso tensioni mai del tutto sopite tra politica e istituzioni monetarie, riportando alla luce una storica battaglia sovranista e sollevando il timore, per la BCE, di un precedente pericoloso. In gioco non c’è solo la gestione di uno dei maggiori patrimoni aurei mondiali, quello italiano, ma anche l’assetto istituzionale che regola i rapporti tra Stati membri, banche centrali nazionali e Unione Europea.
L’emendamento di Fratelli d’Italia

La versione originaria della proposta, firmata dal senatore e capogruppo di FdI Lucio Malan, enunciava una cosa apparentemente semplice: «Le riserve auree gestite e detenute dalla Banca d’Italia appartengono allo Stato, in nome del popolo italiano». Nei giorni scorsi, l’emendamento è stato riformulato in chiave interpretativa. Secondo il nuovo testo, la disposizione sulla gestione delle riserve ufficiali contenuta nel Testo Unico delle norme in materia valutaria «si interpreta nel senso che le riserve auree gestite e detenute dalla Banca d’Italia appartengono al popolo italiano». Il senatore Malan ha precisato che la versione aggiornata dell’emendamento è attualmente oggetto di istruttoria da parte della Banca centrale europea.
La cessione di sovranità monetaria all’UE
L’oro è già patrimonio dello Stato italiano, ma quando l’Italia è entrata nell’euro ha ceduto la sua sovranità monetaria all’Unione Europea. In pratica, lo Stato non può esercitare alcuna prerogativa diretta, perché ha accettato che la Banca d’Italia facesse parte di un sistema più grande: quello delle banche centrali europee, coordinate dalla BCE. Ed è proprio questo il nodo dello scontro. L’emendamento avanzato da FdI è, pertanto, in contrasto con i trattati europei e con lo statuto del Sistema Europeo delle Banche Centrali, il cosiddetto SEBC. L’articolo 127 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea obbliga gli stati membri a consultare la BCE in caso di interventi in materie che la riguardano, tra cui appunto l’oro.
La battaglia sovranista sulle riserve auree

L’emendamento di Fratelli d’Italia non è una novità. È una battaglia storica della destra, che risale ai tempi in cui lo stesso partito di Giorgia Meloni aveva posizioni apertamente antieuro e chiedeva l’uscita dell’Italia dall’Unione Europea. In tutta Europa, i partiti euroscettici contestano i vincoli che legano le banche centrali nazionali alla BCE. Non sorprende, quindi, che l’idea di riportare l’oro sotto il controllo diretto dei governi sia stata a lungo un tema centrale per le forze favorevoli, in passato, all’uscita dall’euro e dall’Unione Europea, come Lega e Fratelli d’Italia. Tra i promotori più attivi figuravano i leghisti Claudio Borghi e Alberto Bagnai e la stessa Giorgia Meloni, che negli anni dell’opposizione ha più volte invocato un utilizzo diretto delle riserve auree per sostenere misure di spesa pubblica.
Come disporre delle riserve auree?
L’oro non può essere utilizzato per finanziare deficit o nuove spese pubbliche. Le norme europee lo vietano esplicitamente. L’unico modo per “sfruttarlo” sarebbe venderlo o darlo in garanzia. Se il governo potesse effettivamente disporre delle riserve auree, potrebbe teoricamente usarle come un tesoretto politico per ridurre le tasse, finanziare opere pubbliche o sostenere misure contro la povertà. L’emendamento presentato da Malan non arriva a ipotizzare un impiego diretto dell’oro, ma il modo in cui è formulato lascia intendere una posizione implicita della maggioranza: l’idea che il patrimonio aureo possa essere messo al servizio della politica fiscale. Dall’altra, si aprirebbe uno scontro istituzionale perché significherebbe rinnegare l’indipendenza delle banche centrali. Per la BCE, anche piccole modifiche possono trasformarsi in crepe pericolose e l’indipendenza di Bankitalia rimane una linea rossa.
Una riserva tra le più grandi al mondo

L’Italia custodisce 2.452 tonnellate di oro fisico, la terza riserva aurea al mondo, superata solo da Stati Uniti (8.133 tonnellate) e Germania (3.352 tonnellate). Una dimensione che colloca Bankitalia tra gli attori strategici globali. Il valore dell’oro è iscritto a bilancio a circa 200 miliardi di euro, secondo criteri prudenziali, ma il valore di mercato – con l’oro che negli ultimi mesi ha ritoccato nuovi massimi – ha superato i 280 miliardi. Venderne una parte oggi comporterebbe un incasso potenzialmente elevato, ma allo stesso tempo indebolirebbe la riserva strategica del Paese. Inoltre, grandi vendite produrrebbero automaticamente un ribasso dei prezzi, riducendo il guadagno atteso.
La distribuzione della riserva aurea italiana
Se la riserva aurea italiana nasce in gran parte nel secondo dopoguerra, solo una parte è custodita in Italia (il 44,86%, 1.100 tonnellate), tra Palazzo Koch e le sedi dell’Eurosistema. Una quota significativa, stimata attorno al 43,29% (circa 1.061,5 tonnellate), è depositata presso la Federal Reserve Bank di New York, uno dei caveau più sicuri e storicamente più utilizzati al mondo. Il trasferimento di una parte delle riserve auree negli USA risale agli accordi di Bretton Woods del 1944: allora, molti Paesi depositarono parte del loro oro negli Stati Uniti –considerati il centro della finanza globale e il Paese più sicuro per stoccare metallo fisico – e l’Italia, uscita dal conflitto in condizioni fragili, adottò la stessa strategia. Il resto si trova presso la Banca d’Inghilterra (5,76% per 141,2 tonnellate) e la Banca dei Regolamenti Internazionali (BRI) a Basilea (6,09% 149,3 tonnellate). Questa distribuzione non risponde a logiche politiche, ma operative: l’oro all’estero è più facilmente mobilizzabile per eventuali operazioni di mercato, swap o garanzie internazionali.
Il parere della BCE: un altolà formale

La BCE, attraverso un parere firmato da Christine Lagarde, ha bocciato l’emendamento avanzato da FdI, ricordando che l’oro detenuto da Bankitalia fa parte delle riserve ufficiali dell’Eurosistema. Ciò implica che nessuno Stato membro può disporne unilateralmente. Interpellata dall’eurodeputato Tridico, Lagarde ha chiarito che, secondo i trattati europei, la detenzione e la gestione delle riserve spettano esclusivamente alla banca centrale nazionale di ciascuno Stato membro. «La Banca d’Italia non è diversa da qualsiasi altra banca centrale», ha rimarcato la presidente della BCE, ribadendo come la gestione operativa, contabile e distributiva dell’oro resti di sua piena competenza, senza alcuna variazione rispetto al parere già espresso nel 2019.
Il rischio di un precedente per l’Eurozona

Lagarde ha di fatto ricordato che l’assetto giuridico europeo assegna alle banche centrali nazionali la piena gestione delle loro riserve. La BCE vuole preservare tale equilibrio istituzionale su cui si fonda l’Eurosistema ed evitare che si crei un precedente: un trasferimento di proprietà o una riformulazione ambigua della norma sulla gestione delle riserve auree potrebbe aprire la strada a un uso politico dell’oro, creando un precedente in tutta l’Eurozona. Se un Paese modifica unilateralmente il quadro relativo alle proprie riserve, altri potrebbero sentirsi legittimati a fare lo stesso, con impatti potenzialmente pericolosi per la stabilità dell’Eurozona.
Un equilibrio delicato
Lo scontro tra governo e BCE non è un caso isolato, ma il segnale di un contesto in cui la politica cerca nuovi spazi di manovra dentro un sistema europeo sempre più strutturato. La vicenda dimostra quanto sia sottile il confine tra sovranità nazionale e regole dell’Eurozona e come, paradossalmente, l’oro continui a essere un nodo sensibile anche nell’epoca della finanza digitale. Attribuire formalmente alla Repubblica la proprietà di un bene che il governo non può toccare e che rimane nella disponibilità operativa di una banca centrale indipendente, produce effetti concreti minimi, a meno che non rappresenti il primo passo verso un ripensamento radicale dell’unione monetaria: un’ipotesi estrema sul piano politico, ma che, dal punto di vista tecnico, passerebbe proprio attraverso il controllo delle riserve auree.
“Sister” Enrica perché non continuare in filosofia dove eri brava?
Altrimenti si rischiano strafalcioni.
L’oro non è “patrimonio dello Stato”, ma un’attività della Banca d’Italia, con implicazioni contabili specifiche. Non esiste un divieto europeo sull’uso dell’oro in quanto tale: è vietato solo il finanziamento monetario allo Stato.
L’idea che il governo possa usare l’oro come “tesoretto” è economicamente infondata, perché la vendita ridurrebbe la solidità patrimoniale della banca centrale.L’impatto delle vendite sul prezzo dell’oro non è automatico e dipende da modalità e tempi.
Anche la differenza tra valore di bilancio e valore di mercato non deriva da criteri prudenziali, ma dalle regole di valutazione periodica. Infine, la distribuzione delle riserve all’estero risponde non solo a esigenze operative, ma anche a logiche di liquidità e gestione del rischio.
Poi i fratellinid’itaglia non si smentiscono:non sarebbero capaci di scrivere un ricorso per una multa di divieto di sosta.
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La questione è vecchia: ricordo notevoli interventi in Parlamento di Di Battista in merito nel 2014. L’oro è di chi è azionista della Banca d’Italia ( vedi sito BdI ” partecipanti al capitale” agg.ott.2025). L’elenco soprende: primo è Unicredit, poi vengono le Casse previdenziali di ingegneri, medici e odontoiatri e altri professionisti, la Cassa di previdenza del personale della Banca stessa e di altri Istituti, l’INPS, l’Inail, Assicurazioni ( Generali e altre) etc.ra. Quanto all’utilizzo dell’oro da parte di governi ricordo che Andreotti dette in garanzia alla Germania ( negli anni ’70) una parte di esso per ottenere un prestito ( ripagato) e che il Portogallo negli stessi anni ’70 ( dopo il golpe militare che rovesciò la dittatura di Caetano e durante il governo del partito comunista lusitano ) vendette gran parte delle riserve per far fronte a inflazione e al dissesto economico.
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Vero:ma le partecipazioni private non vanno inquadrate come in un soggetto privato.
La banca d’italia non può fare speculazioni,per ottenere rendimenti pro domo azionariato, i cui dividendi ,tra l’altro, sono regolati dallo statuto e non dai risultati, e gli stessi azionisti non hanno potere decisionale all’interno di essa come in una banca qualsiasi.La Bdi fa solo esclusivamente interesse pubblico.
Insomma è una situazione piuttosto complessa.
Piu’ che Andreotti (governo) furono Guido Carli e Paolo Baffi che decisero,avendone la diretta responsabilità.Ma era una situazione eccezzionale:Forte svalutazione della Lira e inflazione al 20%
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SE L’EUROPA NON E’ ANCORA UNO STATO FEDERALE E’ PERCHE’ DA SEMPRE RUSSIA ED AMERICA LA CONTRASTANO. OGGI FINALMENTE TRUMP LO HA DETTO CHIARAMENTE PER COLORO CHE ANCORA NON VOLEVANO COLPEVOLMENTE VEDERE.
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ma lo avevamo capito da molto tempo visto anche gli atteggiamenti del governo italiano, ungherese e polacco….!! ad esempio perche’ la Signora Meloni insiste sul diritto di veto in Europa….??? un’ incomprensibile ostacolo all’ efficacia della UE, che necessiterebbe di superare l’ unanimita’ per consentire all’ UE di essere piu’ forte….!!!
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A prescindere dal fatto che sia Meloni o altri a sostenere il diritto di veto o voto che sia, si tratta di una scelta e come ogni scelta ha i suoi pro ed i suoi contro.
I pro sono
Maggiore tutela degli interessi nazionali; se il consesso, a maggioranza qualificata, ad esempio, prende decisioni che vanno a scapito di una singola nazione; col diritto di veto quella nazione può tutelare i propri interessi.
I paesi più piccoli economicamente o socialmente avrebbero maggiori possibilità di subire le decisioni dei paesi più grandi se il singolo stato non avesse questa possibilità.
I contro
Il veto rende le decisioni molto lente e spesso blocca l’azione dell’UE su temi urgenti (politica estera, clima, economia, allargamenti)
Alcuni temono che il veto venga usato da governi “ostinati” per bloccare decisioni condivise, anche a scapito dell’interesse collettivo o dei valori comuni dell’UE (leggasi Ungheria)
Quindi le ragioni dei sovranisti non sono del tutto campate in aria se viste nella loro prospettiva.
E’ ovvio che chi vuole una maggiore integrazione e anche una maggiore rapidità decisionale vede l’opinione dei sovranisti in modo negativo.
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Insomma di chi è quest’ oro ? È nostro o no ? Io non sono riuscito a capirlo . Cosa succederebbe se per ipotesi uscissimo dall’ EU e dall’ euro ?
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se posso permettermi,detto in maniera semplice
Ad oggi non è patrimonio dello stato, perchè ad esempio non può essere venduto per risanare deficit,secondo i trattati europei, cosa che si può fare vendendo quadri antichi(ad esempio).E’ solo gestito dalla Banca d’italia,che lo utlizza per la stabilità finanziaria in principal modo.
La Banca d’italia è un organo indipendente dal governo o dal Mef,quindi il governo o stato non può dirsi proprietario delle riserve d’oro.
Prima dell’Ue si semplificava dicendo che era di proprietà della banca d’italia, che all’epoca più un ente statale rispetto ad adesso(che è partecipata non solo dallo stato ma anche da enti finanziari)…ma giuridicamente non è corretto.Così dicono i giuristi.
Cosa succcederà nell’ipotesi da lei evocata,non si sa…dipende da come si esce dai trattati
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Le riserve auree nazionali sono della Banca d’Italia.
Tradizionalmente, nei sistemi delle banche centrali, compresa la BdI, le riserve auree e valutarie sono intestate alla banca stessa, che le gestisce nell’ambito delle sue funzioni di politica monetaria e stabilità finanziaria.
La BCE coordina le politiche sulle riserve; le banche centrali nazionali non possono operare liberamente (vendite, scambi, prestiti) senza rispettare le regole comuni.
Le riserve ufficiali dell’area euro sono il totale delle riserve delle banche centrali nazionali (BCN)+ la quota detenuta dalla BCE stessa.
Quindi se si esce dall’euro (l’uscita dall’EU è una cosa diversa) le riserve auree delle BCN rimangono inalterate e ogni singola BCN si riappropria di quella parte di sovranità, in tema di politica monetaria, che ha delegato alla BCE (le decisioni sui tassi, le operazioni di mercato aperto, la quantità di moneta, il controllo dell’inflazione)
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Con permesso,piccola ma “grande precisazione” tecnica.
“sono della Banca D’Italia” (sua cit) si intende come Patrimonio iscritto nel bilancio, non come “proprietà” in quanto non essendo un soggetto privato il suo patrimonio è strumentale allo svolgimento di funzioni pubbliche.
Quindi la dicitura sintattica corretta giuridicamente parlando è che
le riserve auree sono detenute e gestite dalla Banca d’Italia.
Si Patrimonio non proprietà della BDI.
la differenza sembra piccola,ma è grande come un palazzo
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Esatto , sono attivi della BdI, la banca non è propritaria nel senso classico del termine (godimento pieno ed esclusivo) del bene.
Il suo utilizzo è soggetto a condizioni.
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P.S: sono una capra in DIRITTO; ma un esamino su di esso a risposte multiple (quiz della patente) per ottenere un’inutile abilitazione professionale ho dovuto darlo. E mi ricordo come se fosse ieri che la risposta
Le riserve aure sono della Banca d’Italia
era la classica risposta errata trabocchetto.
Niente polemiche,solo una reminiscenza.Pour Parler
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Il caravanserraglio di inabili chiaccheroni cerca sicuramente con questa mossa di finanziare politiche di vario tipo..altrimenti prive di copertura…!! Mossa definita ampollosamente “nel nome de Popolo Italiano”…da questi “residuati nostalgici…..: infatti correva l’ anno 2004 quando l’ esimio Prof. Tremonti propose l’ introduzione di una “golden tax” che avrebbe colpito pesantemente anche le riserve auree della nostra Banca d’ Italia…..!!!! poi….anche Padoa-Schioppa che voleva pero’, con la vendita di una parte, la riduzione del “debito pubbico….
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“Tremonti propose l’ introduzione di una “golden tax” che avrebbe colpito pesantemente anche le riserve auree della nostra Banca d’ Italia”
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La gold tax o golden tax che la si voglia chiamare era una tassa che si voleva introdurre sulle plusvalenze da rivalutazione dell’oro.
Se l’oro in deposito oggi vale 100 e domani vale 102 su quel 2 ci pago le tasse; questo diceva Tremonti.
La Banca centrale europea (BCE) si è opposta fermamente: secondo la BCE la “gold tax” sarebbe incompatibile con i trattati europei che garantiscono l’indipendenza delle banche centrali nell’ambito dell’eurosistema.
In particolare, tassare le riserve auree potrebbe essere interpretato come un tentativo di finanziamento diretto dello Stato attraverso beni detenuti dalla banca centrale; cosa vietata dai trattati che regolano la moneta unica.
Il tentativo di mettere le mani sulle riserve è ciclico.
Lo fece Tremonti nel 2004, lo rifece nel 2011.
Lo fece Letta nel 2013, lo fece il governo Conte I nel 2019.
Ed è un tema che si ripete perchè ha appeal politico, c’è un’informazione ed una conoscenza dell’argomento di bassissimo livello ed è semplice da comunicare e facile da comprendere: “abbiamo tanto oro, perché non usarlo?”
Una balla ben raccontata vale più della verità.
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Quella della proprietà dell’oro detenuto dalla Banca d’Italia è la solita storia all’italiana
Quando le cose vanno male deve intervenire lo Stato. E quello che successe negli anni trenta del secolo scorso, quando le banche private, che emettevano moneta ma avevano l’obbligo di convertirla in oro, stavano per fallire.
Negli anni novanta, invece, colpiti dalla febbre delle privatizzazioni, furono privatizzate le banche azioniste della banca d’Italia. Quindi, essendo proprietarie della Banca d’Italia potrebbero rivendicare la proprietà dell’oro. Il problema andrebbe chiarito definitivamente per evitare che abbia successo la truffa organizzata a danno del popolo italiano dai “bravi” politici della prima repubblica.
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