La fornitura di missili Jassm (Lockheed Martin) per 258 milioni di euro è l’ultima tranche di una lunga serie di acquisti per rafforzare la difesa nazionale e fronteggiare i rischi legati all’invasione russa dell’Ucraina

(di Giuseppe Sarcina – corriere.it) – La civiltà europea sarà pure «a rischio di estinzione», come si legge nel documento sulla Strategia di sicurezza nazionale, pubblicato venerdì 5 dicembre dalla Casa Bianca. Ma, intanto, l’industria militare americana moltiplica gli affari con  i Paesi del Vecchio continente. Tra questi c’è anche l’Italia. 

Sempre ieri una nota ufficiale del Dipartimento di Stato informa che è stata autorizzata la «possibile vendita» al governo Meloni di 100 missili aria-superficie Jassm (Joint Air-to-Surface Standoff) per un valore di 301 milioni di dollari, circa 258 milioni di euro. Sono ordigni, si legge ancora nel comunicato degli americani, che «aumentaranno la capacità di fare fronte alle attuali e future minacce» fornendo sistemi in grado di colpire anche obiettivi a lunga distanza. I missili potranno essere montati anche sui caccia F-35, «ma non solo». 

Il Dipartimento di Stato specifica che questa vendita «non altererà gli equilibri nella regione». Come dire: è un rafforzamento delle capacità di difesa di «un alleato» importante della Nato, ma non va inteso come una minaccia per la Russia. 

I missili, dunque, si legge ancora nel comunicato del Dipartimento di Stato, saranno assegnate alle forze armate italiane. In teoria, quindi, non hanno nulla a che fare con le esigenze dell’Ucraina, nè con il meccanismo di raccolta fondi promosso dalla Nato (il Purl) per acquistare armi Usa e girarle a Kiev. Tuttavia, poiché il governo italiano non ha mai diffuso il dettaglio delle consegne all’Ucraina, non si può escludere del tutto che queste, come altre armi, possano andare a rimpiazzare ordigni spediti a Zelensky. Anche se è un’ipotesi poco accreditata. Il contratto verrà gestito dalla Lockheed Martin, il principale gruppo dell’industria militare americana, capofila, tra l’altro del progetto F-35. 

Praticamente da sempre gli Stati Uniti vendono armi a un gran numero di alleati o di partner nel mondo, seguendo una procedura che intreccia business e valutazioni geopolitiche. Il presidente sceglie a chi è possibile vendere; il Dipartimento di Stato autorizza le richieste, caso per caso; il Pentagono provvede a eseguirle nel concreto, ordinando le armi alle industrie Usa; il Congresso ratifica l’autorizzazione finale. 

Da quando Donald Trump è tornato alla Casa Bianca, il flusso di ordinativi non si è per nulla attenuato. Anzi, il leader americano considera un suo successo personale la vendita di mezzi bellici un po’ in tutto il mondo. Sempre ieri, il Dipartimento di Stato ha dato il via libera a due consistenti ordinativi per la Danimarca: un sistema di difesa aereo integrato dal valore di 3 miliardi di dollari e una fornitura di missili per altri 750 milioni di dollari. Nella lista di ieri figurano poi consegne anche per il Libano (90 milioni) e la Corea del Sud (118 milioni).

E’ interessante notare come gli slogan e gli attacchi di Trump contro alcuni Paesi non precludono il corso del business. Il 4 dicembre, giusto per fare un esempio, il Dipartimento di Stato ha dato luce verde a un contratto per ben 2,68 miliardi di dollari con il Canada, così bistrattato da Trump.

I rapporti con l’Italia si inseriscono in questo contesto. Il 16 giugno scorso, il Dipartimento di Stato aveva autorizzato un altro accordo per la consegna di 75 sistemi di difesa missilistica a medio raggio di varie tipologie, per un valore di 211 milioni di dollari, 181 milioni di euro. 

Da un esame approfondito delle carte pubblicate dal Pentagono emerge che negli ultimi due anni l’Italia ha ottenuto otto forniture di armi. Nel dettaglio, le autorizzazioni vanno dal 15 febbraio 2024 al 5 dicembre 2025, per un valore complessivo di 2,64 miliardi di dollari, circa 2,27 miliardi di euro al cambio attuale

Dai registri non risulta quando siano state avanzate queste richieste. E il nostro ministero della Difesa non ha reso pubbliche queste informazioni. In genere, però, trascorrono circa sei mesi, un anno, dal momento della domanda presentata da un Paese alla risposta del Dipartimento di Stato Usa. Si può, dunque, ragionevolmente presumere che l’accelerazione sia stata decisa dal governo Meloni, in seguito all’invasione russa dell’Ucraina. Ancora una volta, va sottolineato come il governo italiano non abbia mai diffuso la lista dei mezzi donati a Kiev. Di nuovo: non si può escludere del tutto che una parte delle armi comprate in Usa sia finita poi in Ucraina oppure se, più verosimilmente, sia servita per rimpiazzare altro materiale, già usato, spedito a Zelensky.

Del resto, nell’archivio del Pentagono risultano solo altre tre vendite di armi all’Italia nel lungo periodo di allarme relativo, che va dal 19 novembre 2009 al 15 dicembre 2020: missili, aerei, droni per un valore di 692 milioni di dollari, 594,2 milioni di euro.