Il rapporto Agenas su Asl e ospedali: a fare la differenza nelle cure è la cattiva o buona organizzazione. Fondi e medici pesano meno

Giungla sanità, migliori e peggiori: ecco le classifiche di esami e cure

(PAOLO RUSSO – lastampa.it) – Si ha un bel dire che a fare la differenza tra buona e cattiva sanità sia tutta una questione di soldi e di personale, perché quando si scopre che l’ospedale Papardo di Messina, come dovrebbe, opera un tumore al colon entro 30 giorni solo nel 7,7% dei casi, mentre gli “Ospedali Civili di Brescia” rispettano i tempi per il 95% degli interventi, allora si capisce che a fare la differenza non possono essere solo finanziamenti e dotazioni organiche. Ma anche, se non soprattutto, la buona o cattiva organizzazione.

Tanto più quando si scopre che le differenze abissali del tumore al colon si registrano anche per altri tipi di interventi chirurgici. O per gli screening, che i tumori servono a prevenirli, per l’assistenza domiciliare di cui sempre più necessitano i nostri grandi vecchi o per le permanenze in pronto soccorso, che per un paziente su quattro richiedono più di 8 ore di attesa al Policlinico Tor Vergata di Roma, mentre al San Carlo di Potenza solo l’1% dei pazienti aspetta così tanto.

E che non si possa ridurre tutto a una mancanza di risorse e uomini lo confermano altri grafici, dove a volte a buone prestazioni offerte corrisponde una dotazione organica di personale al limite del necessario, mentre in altri casi, con persino più medici e infermieri di quanto servirebbe, il livello dell’assistenza cala. Per esempio, l’azienda ospedaliera universitaria di Padova è quella che in tempi più rapidi di tutti impianta le protesi d’anca con una dotazione di personale appena in linea con il fabbisogno di sanitari, mentre il Policlinico di Cagliari fa le peggiori performance pur avendo più personale di quello che sarebbe il suo fabbisogno. Dati preziosi anche per l’applicazione del piano di assunzioni voluto dal ministro della Salute, Orazio Schillaci, perché quel po’ di medici e infermieri che si riuscirà ad arruolare è bene vadano dove effettivamente servono.

È una sanità che non va a due ma a 163 velocità quella a cui fa le pulci il “Modello di valutazione delle performance” di altrettante Asl e ospedali, messo a punto da Agenas e presentato ieri ad Arezzo al “Forum sul risk management”. “Dati che non servono a stilare classifiche ma a intervenire dove necessario e a stimolare un miglioramento delle performance che stiamo comunque registrando”, ci tiene a precisare il commissario straordinario di Agenas, Americo Cicchetti. Che a supporto mostra il +27,3% in un anno di performance nella prevenzione della Asl di Novara o il roboante +80% dell’assistenza ospedaliera offerta dalla Asl 1 Imperiese.

Ma su molte prestazioni fondamentali per la tutela della salute le differenze da una Asl o da un ospedale all’altro restano inaccettabili. “Non è ammissibile che il diritto alle cure dipenda dal codice postale degli assistiti”, ha detto Schillaci. Che dire allora quando, navigando sulla piattaforma Agenas, si scopre che lo screening al colon, un accertamento che salva le vite, nella Asl di Bari si fa solo allo 0,2% della popolazione in età a rischio oncologico, mentre ad Aosta la percentuale sale a un pur non ottimale 58,9%. Eppure un grafico elaborato da Agenas mostra che dove si fa più prevenzione c’è anche meno mortalità evitabile, come nelle Asl di Trento o in quella della Marca Trevigiana, mentre dove gli screening latitano i decessi prevenibili salgono, come nel caso della Asl di Crotone oltre che di Napoli Centro e Nord.

Con 4,6 milioni di over 80, l’assistenza domiciliare diventa indispensabile per molti non autosufficienti. Ma anche qui Asl che vai, offerta che trovi: a Catanzaro non si va oltre 2,6 assistiti ogni mille abitanti, mentre l’azienda sanitaria polesana copre 19,94 non autosufficienti.

Stesso discorso per l’assistenza psichiatrica, di cui pure c’è sempre più bisogn. Ma la presa in carico dipende da dove si vive, perché si va dagli 0,52 pazienti assistiti ogni mille abitanti in Molise ai 28,28 di Piacenza. A leggere i numeri molto c’è ancora da efficientare anche nel caso delle sale operatorie, che in molti ospedali lavorano molto poco, sia per giustificare i costi sia per garantire una sufficiente sicurezza ai pazienti, visto che la buona riuscita di un intervento chirurgico dipende anche dall’esperienza che si matura sul campo.

E poi c’è il tema della produttività del personale, che non sembra essere aumentata rispetto ai livelli del 2019, nonostante durante la pandemia siano stati arruolati in vario modo 40mila operatori sanitari. Ora l’Agenas annuncia audit nelle Asl e negli ospedali più in difficoltà. Magari per provare a esportare i modelli di chi invece performa già bene, a volte spendendo anche meno.