Le modifiche prioritarie. A 3 giorni dal voto Meloni e soci chiedono di riaprire le sanatorie dall’85 in poi e ne vogliono di nuove

(di Marco Palombi – ilfattoquotidiano.it) – Ne era atteso uno e invece dalle parti di Fratelli d’Italia hanno deciso di fare le cose in grande: tra i 400 emendamenti segnalati alla Manovra, quelli che andranno al voto in commissione in Senato fra le migliaia presentati dai gruppi, il partito di Giorgia Meloni ha presentato ben sei proposte di condono o sanatoria edilizia. Una cornucopia perdonista che arriva a tre giorni dal voto in Campania, la Regione che secondo gli ultimi dati disponibili, purtroppo non recentissimi, ha il maggior numero di domande inevase, oltre 650 mila: roba da vincerci le elezioni in carrozza. Sarà che la premier ha cambiato idea da quando, era appena arrivata al governo, discettava col direttore del Corriere della Sera Luciano Fontana di questa “Italia dei condoni”, rivendicava che FdI fu “molto critico” con quello per Ischia deciso dal governo Conte-1 nel 2018 (in realtà era un tentativo di accelerare la definizione delle pratiche inevase nell’isola) e parlava di “approccio culturale diverso” e di “cura del territorio”: ora siamo arrivati ai Fratelli dell’Italia dei condoni.
Torniamo al florilegio di proposte edilizie che i meloniani hanno “segnalato” come fondamentali per l’iter della manovra. Un paio riguardano il condono del 2003, il secondo e ultimo targato Berlusconi, e sono pensate proprio per la Campania, che all’epoca provò a opporsi (senza successo) alla legge del fu Cavaliere: il primo emendamento affida la riapertura dei termini per fare domanda a leggi regionali da varare entro fine febbraio, il secondo garantisce – in una manovra a tenaglia – che per sanare gli abusi non sia richiesta (com’è oggi) la doppia conformità normativa, ma solo quella alle norme edilizie precedenti il 2003. Il perdono vale per tutti, esclusi – com’è ovvio – gli abusi in zone vincolate o a rischio.
Gli altri sono pure peggio. Un emendamento riapre i termini dei condoni dal primo, quello di Bettino Craxi del 1985, per gli abusi terminati entro il 30 settembre 2025 (avete letto bene): l’obiettivo è sanare balconi, terrazze, logge, ristrutturazioni e quant’altro sia stato realizzato “in difformità dal titolo abilitativo edilizio”, purché non siano aumentate le volumetrie. Ma si torna anche più indietro: per le “difformità parziali” precedenti il 1977 – abusetti antichi – ci si mette a posto con 1.032 euro. Il quinto emendamento meloniano, invece, prova a connettere tutta questa meraviglia ai piani casa regionali: una modifica ingegnosa che consentirebbe ai condonati e condonanti secondo le leggi del 1985, 1994 e 2003 – in via di resurrezione – di partecipare ai regali di volumetrie per chi ristruttura un immobile inserite nei piani casa regionali.
Vi dobbiamo, infine, il sesto emendamento condonista di FdI, non si sa se il più pericoloso o il più inutile: prescrive che i Comuni debbano rispondere entro il 31 marzo 2026 a tutte le richieste inevase dal 1985 in poi. Non c’è scritto cosa succede in caso contrario, essendo escluso per ora che a una materia del genere possa applicarsi il silenzio-assenso (ma mai dire mai). La cosa è particolarmente assurda, specie in assenza di personale aggiuntivo dedicato (lo chiedono da anni le associazioni ambientaliste), perché le domande inevase sono milioni: come Il Fatto ha già scritto più volte, quelle totali per i tre condoni furono 15 milioni e spiccioli, quelle pendenti al 2019 erano oltre 4 milioni; la Campania, come detto, guidava questa speciale classifica con 656 mila domande davanti a Lazio e Sicilia (dati del centro studi Sogeea).
Tutto questo in un Paese che, a stare bassi, produce circa 20 mila edifici abusivi ogni anno e una miriade di piccole e grandi infrazioni su quelli vecchi: anche loro aspettano i nuovi condoni, come pure gli abusi che verranno finiti in questi mesi e quelli ancora in mente dei (sì, succede spesso che si chieda la sanatoria per un abuso ancora da fare). Ci sarebbe almeno da ricordare, di fronte alla valanga meloniana, che i condoni costano e non solo in termini ambientali ed estetici: in media lo Stato mette circa 24 mila euro ad abuso. L’erario dal 1985 ha incassato 15 miliardi dai condoni edilizi (invece dei 30 previsti) e ne ha spesi tre volte tanti in oneri di urbanizzazione (trasporti, fognature, illuminazione, etc.). Poco importa, “bisogna uscire dall’ipocrisia”, raccomanda Matteo Piantedosi: “L’alternativa al condono è l’abbattimento delle case e lo sgombero di migliaia di persone che nessuno fa”. E buon voto dal ministro dell’Interno.
Piantagrane, in attesa di vederlo con la mazzuola mentre abbatte i muri di CasaPound a Roma, dice sempre fesserie. Il condono orchestrato dalla sua banda permetterà solo la commercializzazione immediata degli immobili abusivi, pagando un piatto di lenticchie. Se ci sono 650000 Mila domande inevase, basta dare tempo al tempo e nel frattempo nessuno sarà mai sgomberato.
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Questi, per 3 voti in più, in un ipotetico paese di assassini, legalizzerebbero l’omicidio.
Sono di uno squallore infinito, rovina assoluta del nostro Paese.
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