Bruxelles rivede al ribasso a +0,4% il Pil di quest’anno, mentre il 2026 dovrebbe chiudersi a +0,8% (peggio farà solo l’Irlanda) come il 2027, quando in media la Ue crescerà quasi il doppio. Investimenti e riforme non hanno fatto uscire il Paese dal circolo vizioso dello “zero virgola”

(di Chiara Brusini – ilfattoquotidiano.it) – La Commissione europea taglia ancora le stime sulla crescita italiana e certifica che, una volta esaurita la spinta del Recovery plan, Roma tornerà fanalino di coda in Europa. A dimostrazione del fatto che la scommessa su cui si fondava il Pnrr – portare l’Italia fuori dal circolo vizioso dello “zero virgola” e mettere in sicurezza la sostenibilità del debito – è stata persa. Nelle previsioni economiche d’autunno Bruxelles rivede al ribasso il Pil di quest’anno (+0,4%, contro lo 0,7% indicato in primavera) e del 2026, che dovrebbe chiudersi a +0,8% dallo 0,9% precedente. Quella stima è lievemente migliore di quella inserita dal governo nel Documento programmatico di finanza pubblica, ma peggio farà solo l’Irlanda (+0,2%). E il valore atteso per il 2027, primo anno post-Recovery, accende un allarme rosso: quell’ulteriore +0,8% è il dato più basso dell’intera Ue che nel complesso viaggerà tra +1,4% (Eurozona) e +1,5% (Ue a 27).
L’Italia rientra nel circolo vizioso
Il commissario agli Affari economici Valdis Dombrovskis ha spiegato che la dinamica “modesta” dell’Italia è oggi sostenuta soprattutto dai consumi delle famiglie e dagli investimenti pubblici di cui il Recovery resta il “principale motore“. Con i vincoli del nuovo Patto di stabilità che irreggimentano la politica di bilancio del governo Meloni – che quel Patto l’ha sottoscritto – la scadenza del Piano rimetterà a nudo l’atavico problema della bassa produttività – e di conseguenza bassa crescita – che gli investimenti e le riforme del Pnrr avrebbero dovuto risolvere.
Tentativo fallito, evidentemente, causa dispersione delle risorse, ritardi nello spendere davvero i soldi, burocrazia e rendicontazioni che hanno finito per contare più dei risultati. Così, nonostante l’attesa di “una ripresa dei finanziamenti e degli investimenti per la coesione” anticipata dallo stesso Dombrovskis e nonostante le facility che dovrebbero consentire di spendere fino al 2029 le risorse residue del Pnrr, riecco il circolo vizioso. Alimentato anche da consumi delle famiglie molto deboli, come ha spiegato il commissario, e “un ulteriore aumento del risparmio precauzionale”. Senza i miliardi di prestiti e sovvenzioni a fondo perduto in arrivo dalla Ue, quest’anno l’Italia sarebbe finita in recessione. A valle del Pnrr tornerà in un equilibrio di bassi stipendi e bassa produttività. A dirlo è il governo stesso: nel Documento programmatico di finanza pubblica i tecnici del Mef stimano la crescita potenziale media nel periodo 2026-2041 (quella che l’Italia può ottenere strutturalmente, al netto del ciclo economico) allo 0,6%, meno dello 0,8% previsto solo un anno fa nel Piano strutturale di bilancio di medio termine previsto dalle nuove regole europee.
“Il governo Meloni ci riporta fanalino di coda in Europa”, attacca l’eurodeputato M5S Pasquale Tridico, parlando di “bocciatura senza appello delle ricette economiche dell’esecutivo” compresa l’ultima “legge di bilancio da ragioneria“. “Non serve a nulla uscire dalla procedura d’infrazione“, la chiosa, “se si lascia il Paese in rovina”. La Commissione vede infatti il deficit italiano al 3% nel 2025, al 2,8% nel 2026 e al 2,6% nel 2027, esattamente come indicato dal governo nel Dpb. E in aprile, dati definitivi alla mano, Bruxelles deciderà sull’eventuale chiusura della procedura per deficit. Propedeutica all’attivazione della clausola di salvaguardia che consente di aumentare gli investimenti in difesa senza impatto sul disavanzo rilevante agli occhi della Commissione.
Il confronto europeo
Tornando alla crescita, il confronto europeo è impietoso. Quest’anno Roma fa meglio solo di Finlandia (+0,1%) e Germania (+0,2%). Nel 2026 sarà penultima, davanti alla sola Irlanda. Nel 2027 chiuderà la classifica, dietro la Francia (1,1%) e la Germania (1,2% come Austria e Finlandia). Berlino, dopo un quinquennio di crescita debole, tornerà a muoversi più rapidamente dell’Italia. A sostenere la ripresa tedesca saranno l’espansione della spesa pubblica, la tenuta dei consumi e gli investimenti in edilizia e infrastrutture trainati da una politica di bilancio vistosamente espansiva: deficit al 4% nel 2026 e debito in crescita verso il 67% del Pil. Mentre le esportazioni continueranno a soffrire per dazi, incertezze globali e domanda estera debole.
Sul fronte opposto della graduatoria si conferma la Spagna, che continua a essere la grande economia dell’Eurozona con il passo più rapido. Bruxelles ha rivisto al rialzo le stime: +2,9% nel 2025 e +2,3% nel 2026, con una crescita sostenuta dalla domanda interna, dalla solidità del mercato del lavoro e dal contributo degli investimenti. Il previsto aumento dell’occupazione, sottolinea Bruxelles, è attribuibile principalmente al continuo afflusso di migranti, che sta ampliando notevolmente la forza lavoro e accelerando il ritmo di creazione di posti. Il tasso di disoccupazione continuerà quindi a scendere: 10,4% nel 2025, poi sotto il 10% nel 2026 e nel 2027. Livelli che la Spagna non vedeva da oltre un decennio, anche se restano tra i più alti della Ue.
I rischi legati a dazi e “bolla dell’AI”
Il quadro tracciato dalla Commissione resta come sempre esposto a rischi significativi. Al netto della geopolitica, i principali sono legati a dinamiche che hanno origine oltreoceano. “A livello globale, le barriere commerciali hanno raggiunto massimi storici”, ha ricordato Dombrovskis. A pesare sono ovviamente i dazi di Donald Trump, pur sub iudice da parte della Corte suprema, e “le risposte da altri attori chiave come la Cina”. Gli esportatori europei continuano a scontare condizioni penalizzanti: “L’aliquota tariffaria media affrontata dagli esportatori Ue verso gli Usa si attesta intorno al 10%”, cioè “significativamente sopra i dazi medi prima che l’amministrazione Trump entrasse in carica”. Un contesto che pesa su un’economia “altamente aperta”, “suscettibile alle continue restrizioni commerciali e all’incertezza”. Sul fronte finanziario, un altro fattore di instabilità arriva da Wall Street. “La correzione del prezzo dei rischi nei mercati azionari, specialmente nel settore tecnologico statunitense, potrebbe impattare sulla fiducia degli investitori e le condizioni di finanziamento”.

L’articolo è chiaro, ben argomentato e coerente; tuttavia l’esame analitico è alquanto scarso e asimmetrico.
Partiamo dalle stime di crescita
L’Italia, dopo aver avuto una crescita positiva dovuta all’iniezione di liquidità (2/3 a debito e 1/3 a fondo perduto) del PNRR ritorna ad essere ciò che è sempre stata da almeno 30 anni a questa parte.
Quantificare gli effetti economici del PNRR è impossibile perchè non ci sono dati disponibili; a quattro anni dall’avvio del programma esistono solo stime, non dati consuntivi.
Inoltre alcuni degli effetti economici potrebbero (il condizionale è d’obbligo visto che non ci sono dati disponibili) essere visibili solo tra alcuni anni.
Dipende se i soldi sono stati spesi per la digitalizzazione o per fare i muretti a secco in qualche masseria.
Sul piano finanziario, invece, i dati sono più concreti: gli interessi sulla quota di debito contratta per il PNRR (3–3,5%) superano la crescita nominale del PIL, rendendo il programma insostenibile e incapace di autofinanziarsi.
I problemi strutturali dell’Italia sono ben altri: demografia e capitale umano (invecchiamento, emigrazione, bassa natalità), produttività (piccole e medie imprese, molte legate ai servizi), bassi investimenti privati (piccola dimensione d’impresa, comparto giustizia in affanno, burocrazia farraginosa, calo demografico).
Per la parte relativa al confronto con altre nazioni. nonostante la Germania stia vivendo un momento di difficoltà resta una delle economie più produttive del mondo; il suo rallentamento è ciclico, non strutturale come quello italiano.
Per quanto riguarda la Spagna: la sua crescita deriva dal forte afflusso dei migranti negli ultimi anni: un aumento della popolazione porta inevitabilmente ad una crescita del PIL.
Questa crescita non è gratis: in primo luogo gli immigrati chiedono anche servizi: istruzione e sanità in primis e ciò va a gravare sul bilancio pubblico (gli insegnanti, i medici, gli infermieri percepiscono uno stipendio anche in Spagna; stipendi a carico della fiscalità generale); gli immigrati hanno bisogno di alloggi ed infatti la Spagna sta vivendo una pressione rialzista sui prezzi e sulle locazioni degli immobili notevole.
La Spagna cresce in modo “estensivo” non “intensivo” (aumento della produttività) che sarebbe il modo auspicabile.
Il confronto con l’EU ( con la Finlandia messa li a far mal comune mezzo gaudio dimenticandosi che un conto è una crisi strutturale altro è una crisi congiunturale).
Il patto di stabilità vale per tutti i paesi membri; alcuni di questi hanno capacità fiscale ed altri no; il problema non è dunque il patto in se ma le condizioni di finanza pubblica che in Italia sono deteriorate.
Il patto di stabilità non limita la spesa ma la sua composizione: un conto è fare investimenti in conto capitale, altro è far fronte alla spesa corrente (specie quella fatta per fini elettoralistici)
I dazi e le guerre commerciali più o meno dichiarate: a livello aggregato sono un trauma per un esportatore quale l’EU, ma all’interno dell’EU bisogna distinguere tra paesi più high tech (Germania, Olanda, scandinavia) e paesi low tech; settori specifici a parte non si possono mettere sullo stesso piano i contraccolpi dei dazi.
Buon giornalismo, analisi macroeconomica parziale e non completamente solida.
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Solo chi cade può risorgere…ma qui siamo caduti tanto in basso,quasi sprofondati, che sarà diffice risorgere.
Sorgi gioggia!
Non vuole sorgire! hahahha….
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Sul fronte opposto della graduatoria si conferma la Spagna, che continua a essere la grande economia dell’Eurozona con il passo più rapido. Bruxelles ha rivisto al rialzo le stime: +2,9% nel 2025 e +2,3% nel 2026, con una crescita sostenuta dalla domanda interna, dalla solidità del mercato del lavoro e dal contributo degli investimenti.
W MARQUEZ W ALCARAZ 😀
Proprio vero: Spagna N.1 nel ranking (noi e Montecarlo consoliamoci con Zinner)
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Lo so’ che è difficile dirlo specialmente da parte di stampa e tv ma possiamo senzadubbiamente affermate dopo tre anni che questo è il governo dei migliori scappati di casa che ha avuto la repubblica italiota🤔
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“Propedeutica all’attivazione della clausola di salvaguardia che consente di aumentare gli investimenti in difesa“
Non serve aggiungere altro per definire sta deficiente della Garbatella
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Bonus elettrodomestici… fanno tanta propaganda,come al solito,200€ di sconto….seee… per coloro che hanno un’ISEE sino a 25.000 €….a aprte che avranno già provveduto ad alzare i prezzi(doppio guadagno), ma per arrivare ai 200 fatidici eurini bisogna spendere € 667…immaginate chi ha uno stipendio di 600 € mensili…per un mese non dovrà mangiare,ne poter pagare l’affitto, ne poter mangiare,ne affrontare spese correnti ….perchè non è dato sapere se potranno pagare i 667 € a rate.
Quindi come al solito le famiglie più deboli non potranno usufruire del Bonus-Propaganda…solo chi arriva verso i 2.500 …eurini mensili!
Vai Gioggia sei forte… la pubblicità è l’anima de li mort…!
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E chi se ne importa! L’importante è che le agenzie di rating promuovano l’Italia. Bei tempi quando erano brutte, sporche e cattive. 😞
https://www.lanotiziagiornale.it/ora-il-rating-piace-a-destra-contrordine-sulle-agenzie/
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