La Procura di Palermo ha chiesto gli arresti domiciliari per l’ex presidente della Regione siciliana Salvatore Cuffaro e per altre 17 persone accusate a vario titolo di associazione […]

(di Antonio Esposito – ilfattoquotidiano.it) – La Procura di Palermo ha chiesto gli arresti domiciliari per l’ex presidente della Regione siciliana Salvatore Cuffaro e per altre 17 persone accusate a vario titolo di associazione a delinquere, corruzione e turbativa d’asta. Il nome di Cuffaro non deve stupire: venne condannato in via definitiva nel 2011, dalla Corte di Cassazione a 7 anni di reclusione per favoreggiamento e rivelazione di segreto di ufficio aggravati per essere rimasta accertata “l’esistenza di un patto politico-mafioso tra il capo mandamento Giuseppe Guttadauro e l’uomo politico Cuffaro Salvatore con la consapevolezza di quest’ultimo di agevolare l’associazione mafiosa, e con la conoscenza da parte del Cuffaro della notevole caratura mafiosa del Guttadauro, capo del mandamento di Brancaccio, esponente di spicco della organizzazione criminale Cosa Nostra”, più volte condannato per reati di stampo mafioso. A Cuffaro sono stati sequestrati 80 mila euro in contanti.

Tra gli indagati risulta anche il parlamentare di “Noi moderati” ed ex ministro dell’Agricoltura Saverio Romano: anche il suo nome non è nuovo alle cronache giudiziarie essendo stato nel 2012 processato e assolto dal Gup di Palermo per non aver commesso il fatto dal reato di concorso esterno ai sensi dell’art. 530 II comma c.p.p., e, cioè, con formula dubitativa (la vecchia insufficienza di prova), e avendone il pm Nino Di Matteo chiesto la condanna “per aver stretto un patto politico-mafioso con le famiglie mafiose di Villabate e Belmonte Menzagno”. La Cassazione, nella sentenza Cuffaro, cita più volte Romano in relazione a due episodi. Il primo è l’incontro di Romano e Cuffaro con Angelo Siino, “ministro dei lavori pubblici di Cosa Nostra”. Scrive la Corte: “È appena il caso di segnalare che, escusso nel dibattimento di I grado, Angelo Siino – successivamente al 1991 tratto in arresto e poi divenuto collaboratore di giustizia – ha riferito analogamente della visita degli allora giovani Cuffaro e Romano nella quale entrambi gli chiedevano apertamente sostegno elettorale … l’imputato (Cuffaro), a sua volta ha ammesso di essersi recato, insieme a Saverio Romano dal Siino per chiedergli appoggio elettorale (ammettendo l’incontro degli stessi esatti termini riferiti dal mafioso)”.

Il secondo episodio riguarda la candidatura alle elezioni regionali in una lista collegata a quella del Cuffaro di tale Acanto Giuseppe. Scrive la Cassazione, richiamando la motivazione della Corte di Appello (che citava le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Francesco Campanella, amico di Cuffaro e legato al clan mafioso Mandalà): “Occorre rilevare come in proposito riferiva Campanella che l’Acanto era divenuto un intimo collaboratore degli associati mafiosi Mandalà i quali e, in particolare, Antonino, ne avevano sponsorizzato la candidatura alle elezioni regionali del 2001. In tale circostanza il Campanella aveva, una prima volta, incontrato Romano Saverio, componente dello stesso partito del Cuffaro, per chiedergli appunto l’inserimento di Acanto nella lista Biancofiore precisando che si trattava di un candidato sostenuto dal gruppo Villabate e da Mandalà Antonino; il Romano competente per la formazione della lista aveva immediatamente assicurato l’inserimento di detto soggetto tra i candidati chiedendogli di fargli avere al più presto i documenti mandandogli i saluti per il Mandalà Antonino stesso”.

Ma chi era Mandalà? “L’incontrastato capo della cosca mafiosa di Villabate”, strettamente legata al boss Bernardo Provenzano al punto che era stato proprio il figlio, “Nicola Mandalà, ad accompagnare il capo dell’intera organizzazione criminale Cosa Nostra a Marsiglia” per un delicato intervento chirurgico, quello stesso Nicola Mandalà poi condannato in via definitiva nel 2011 all’ergastolo per omicidio aggravato dal metodo mafioso.

I lupi perdono il pelo ma non il vizio.