A querelare ranucci fu Giuli, da giornalista

(di Th. Mack. – ilfattoquotidiano.it) – C’è un’altra multa a Report, meno nota della sanzione da 150 mila euro per il caso Sangiuliano-Boccia, ma altrettanto emblematica del cortocircuito tra privacy e libertà di stampa. Anche qui c’è di mezzo un ministro della Cultura. E anche in questo caso ci sono due autorità che hanno giudicato la stessa partita in modo opposto: il Garante ha fischiato il fallo, il Tribunale ha convalidato il gol. Report non aveva violato né la privacy né la corrispondenza. La vicenda nasce dal servizio di Giorgio Mottola, “Vassalli, valvassori e valvassini”, andato in onda su Rai3 il 26 ottobre 2020. L’inchiesta ricostruiva le reti di potere e affari intorno alla Regione Lombardia, descrivendo un sistema di favori e relazioni che superava la vecchia corruzione a mazzette. Al centro c’era Andrea Mascetti, avvocato e figura chiave della Lega in Lombardia.

Durante la puntata, Report mostrò per pochi secondi due email estratte dal database pubblico dell’OCCRP (il consorzio internazionale di giornalismo investigativo), per smentire la versione di Mascetti, che negava di avere ruoli politici nel partito. Il Garante per la Privacy, investito di un reclamo il 23 novembre 2020, ha esaminato il caso con relatore il presidente Pasquale Stanzione, che cinque anni dopo firmerà la sanzione contro Report sul caso Sangiuliano.

Il 18 luglio 2023 l’Autorità dà ragione al reclamante, stabilendo che, pur in presenza di un chiaro interesse pubblico, la trasmissione aveva violato la segretezza della corrispondenza mostrando le email “oltre i limiti dell’essenzialità dell’informazione”. La stessa contestazione a base della multa da 150 mila euro. Per il Garante, insomma, Report aveva usato un documento autentico ma non poteva mostrarlo, anche se la notizia era vera. Il collegio era lo stesso di oggi, con Ginevra Cerrina Feroni indicata in quota Lega, e Agostino Ghiglia in quota Fratelli d’Italia: i due partiti più direttamente chiamati in causa dall’inchiesta. A querelare Report allora non era un politico: Alessandro Giuli, oggi ministro della Cultura, che all’epoca scriveva per la stampa e collaborava con la Rai. Il suo nome compariva solo come mittente di una delle mail — indirizzata al senatore Armando Siri — contenente il programma culturale della Lega, citata da Report come prova documentale del ruolo attivo di Mascetti nel partito. Contro quella ricostruzione Giuli denunciò per diffamazione e violazione di corrispondenza Sigfrido Ranucci e il direttore di Rai3 Franco Di Mare. Il 19 gennaio 2024 il Tribunale di Roma smonta ogni accusa. Secondo il giudice, Report aveva agito nel pieno esercizio del diritto di cronaca, pubblicando un fatto “vero, essenziale e di interesse pubblico”, basato su una fonte aperta e accreditata. La email, scrive il Tribunale, non aveva contenuto privato ma politico e la sua diffusione non era diffamatoria perché “attestava semmai l’influenza culturale e professionale di Giuli”. Risultato: nessun reato, nessuna diffamazione, nessuna violazione di corrispondenza. Stessa vicenda, due arbitri diversi, due verdetti opposti. Come nell’altra, dove l’Ordine dei giornalisti il 15 aprile solleva Ranucci e la Rai da ogni violazione, ma sei mesi dopo il l’Autorità per la Privacy li sanziona. Una costante: se Report o altri toccano la politica, il Garante fischia.